Mugnano. Grazie all’attivismo l’ex convento diventa uno spazio di aggregazione e solidarietà

MUGNANO – Sabato pomeriggio, con appuntamento alle ore 17:30, è stato aperto e presentato al pubblico lo spazio dell’Ex Ritiro del Carmine a Mugnano, Comune nel napoletano, un ex convento diventato poi una scuola e per lungo tempo destinato all’abbandono. Da dicembre un gruppo di lavoratori, studenti, disoccupati, immigrati ha cominciato a lavorare alla riqualificazione di questo spazio per renderlo accessibile, bonificarlo e quindi impiegabile per le attività politico-sociali.

Mugnano è un Comune a nord di Napoli, può da oggi vantare uno spazio di aggregazione e condivisione destinato fino a questo momento all’incuria da parte delle istituzioni. Si tratta dell’Ex Ritiro del Carmine, in via Ritiro, inizialmente un istituto pio, poi una scuola e infine un enorme edificio abbandonato all’imbarbarimento. Infatti, come previsto dalla legge, le opere pie, conclusa la loro attività, vengono destinate alle Regioni. Così il Comune di Mugnano ha esercitato il suo diritto di assegnazione della struttura, non sapendone però sfruttare le eccezionali potenzialità, potendo essa vantare ben tre piani di stanze che ruotano attorno a un enorme spiazzo centrale; un teatro; un giardino e una terrazza. Ad oggi è stato ripristinato solo il piano terra della struttura, insieme a parte del giardino, che per i volontari che ci hanno lavorato è già un buon trampolino per pensare effettivamente alle attività da svolgere e farle partire di qui a breve.

I volontari di cui parliamo sono lavoratori, precari, disoccupati, studenti, immigrati, dunque uomini e donne di diverse età, con diversi interessi, ma accomunati dalle stesse idee di uguaglianza, solidarietà e riscatto sociale. Soprattutto, come ribadiscono spesso, hanno intenzione di dare vita a delle città che non siano solo “città dormitorio”, senza possibilità di viverle in modo differente dalla qualità di comunità, dai luoghi di solidarietà e aggregazione. All’effettiva realizzazione di tutto questo stanno partecipando il collettivo Laboratorio Politico Kamo, che opera da circa tre anni nell’area nord di Napoli; il Comitato Civico Cambiamo Mugnano; il Collettivo Studenti Autorganizzato E. Segrè, del liceo scientifico di Marano di Napoli. Al riguardo, abbiamo approfittato dell’Assemblea popolare svoltasi sabato pomeriggio per rivolgere qualche domanda a Gabriele, un rappresentante del collettivo Laboratorio Politico Kamo.

Come pensate di gestire questa struttura?

«Ci siamo dati come linea guida l’apertura a tutti, ovviamente con certi limiti: per esempio non sono ammessi razzisti, fascisti o gente che semina odio, perché sarebbe una contraddizione. Alla fine il metodo gestionale del posto sarà l’apertura a tutti, anche se non è proprio che chiunque viene e ci dice “mi serve la stanza per…” gli diamo la stanza. Quindi si farà una assemblea di gestione, a cui tutti possono partecipare, fare proposte veramente di ogni tipo e tutti insieme si valuta quali proposte sono fattibili e quali lo sono meno. Si decide quindi tutti insieme effettivamente cosa fare e cosa non fare. Sono arrivate alcune proposte, ma dobbiamo valutarle tutti insieme: vanno dal carattere culturale e sociale a quello ludico, perché un altro problema è che i bambini non sanno dove andare; dal doposcuola ai laboratori artistici per i bambini; e poi attività più politico-sociali; vorremmo anche provare ad aggiustare il teatro per fare un laboratorio teatrale. Quindi una gestione molto orizzontale come vedi.»

Che valore ha la riappropriazione di questi spazi?

«Siamo nell’area nord di Napoli, tra discariche, inceneritori, monnezza e camorra, per cui vogliamo cercare di improntare un modello di sviluppo sociale, politico, culturale diverso. Cioè provare a contrastare quel fatto che si tende a creare la periferia dormitorio, dove noi dobbiamo venire solo a dormire. Qualsiasi cosa vogliamo fare nella vita dobbiamo migrare in centro città. Invece noi vogliamo far capire che non tutti hanno la possibilità, il tempo, la voglia di spostarsi. E quindi dobbiamo cercare di riappropriarci dei nostri territori e viverli. Il valore è proprio questo: cercare di creare anche una dinamica tale che la gente viene a sapere quello che facciamo e si interessa in prima persona.»

Sostegno da parte delle istituzioni?

«Danno il via libera, nel senso che fino a questo momento non hanno ostruito il fatto che noi entrassimo in maniera ufficiosa qui dentro. Ovviamente loro hanno quel bisogno di cautelarsi dal punto di vista burocratico e tutte le rogne che appartengono a loro. A noi non interessa perché loro fanno la politica in un modo e noi la facciamo in un altro: quindi c’è questo confronto aperto, procediamo molto tranquillamente, con le nostre idee e anche con dei limiti, però aperti al dialogo. Per esempio prendiamo la messa in sicurezza di questa struttura: se ci sono dei lavori a cui loro con un tecnico possono provvedere, siamo a disposizione, a patto che questo non implichi, per esempio, che dobbiamo stare chiusi e non possiamo usarla, perché sarebbe un controsenso. Potrebbe facilmente succedere che dicano in quel caso: “una volta che l’abbiamo chiuso, chiudiamolo nuovamente del tutto”.»

Come si realizzano in queste cittadine la solidarietà, la giustizia sociale, il mutualismo che sostenete con le vostre lotte politico-sociali?

«Sono anni che portiamo avanti queste tematiche di solidarietà, di mutualismo. Però avere un posto fisico dove puoi mettere in atto concretamente alcune di queste pratiche è un passo in avanti: per esempio la scuola di italiano per gli immigrati, che permette un maggior inserimento sociale, e tutta una serie di attività, quali uno sportello legale, un ambulatorio medico e delle piccole cose che ti possono dare almeno quella base di mutualismo sociale. Fare delle attività nel concreto ti può aiutare perché la gente si rende conto di quello che accade qui. Quando siamo arrivati un sacco di gente pensava “il centro sociale, i comunisti”, mentre se ti conoscono e vedono quello che fai si rendono conto che, non dico per forza che siamo bravi ragazzi, però siamo gente che vuole provare a rispondere a delle esigenze che sono di tutti noi. Anche perché noi viviamo qua, veniamo più o meno tutti da famiglie normali, viviamo bene o male tutti gli stessi problemi: ti laurei e non si sa se un lavoro lo trovi, sei costretto ad andartene fuori o magari hai il genitore che è stato licenziato o un genitore malato che non può pagare l’ospedale privato e deve aspettare 8 mesi per un intervento. Quindi uno cerca di creare un minimo di dibattito e di creare anche, chiamiamolo così, un coinvolgimento dell’amministrazione o meglio sensibilizzarli su certe cose, convincerli a prendere posizione su certi temi. Per esempio sulla questione “No Triv” ci siamo riusciti: a Marano, a Calvizzano e anche qui a Mugnano sono stati messi striscioni e manifesti anche proprio dal Comune. Noi abbiamo fatto pressione per fargli capire che si trattava di una questione importante e bisognava prendere posizione, anche in ragione del loro ruolo è quasi un dovere questo. Siamo comunque fermi sulle nostre idee, quindi senza scendere a compromessi cerchiamo di mantenere aperto il dialogo con le istituzioni. Per esempio, se tu vuoi fare i lavori sgravando noi di questa cosa va bene; non va però se poi pretendi che, perché hai fatto i lavori, deve entrare la tua associazione dentro, il parente o l’amico di.»

Camilla Esposito

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