Salute. Ossessionati dal mangiar sano? A rischio le relazioni sociali

ENNA – In Italia le persone affette da ortoressia sono circa 300mila (Fonte Donini e coll. 2004), a fronte di 3 milioni di pazienti con disturbi alimentari, con una prevalenza maggiore tra gli uomini rispetto alle donne: 11.3% contro il 3.9. Si tratta di un disturbo poco conosciuto, ma in continua ascesa e spesso sottovalutato. Per indagare maggiormente le caratteristiche del disturbo, abbiamo rivolto le nostre domande alla Dott.ssa Sibilla Giangreco, Psicologa e Psicoterapeuta presso l’Ospedale Umberto I di Enna, in Sicilia.

Ortoressia. Da quanto tempo se ne parla in Italia?

«In Italia solo di recente si sono delineate le caratteristiche del disturbo, in quanto la cultura del Biologico e del mangiar sano sono intrinseche nella nostra alimentazione, di tipo mediterraneo, pertanto il paradosso della ricerca spasmodica di cibi dichiaratamente ‘sani’ è più evidente solo da pochi anni a questa parte.»

Cosa si intende precisamente per ortoressia?

«Il processo che caratterizza l’ortoressia può essere definito come il bisogno fondante dell’esistenza dell’individuo, ovvero quello di ricercare le qualità di salubrità in ogni sostanza che ingerisce, sia liquida che solida, una ricerca che diviene appunto il nucleo centrale su cui si fonda buona parte della giornata. Se per benessere si intende equilibrio e capacità di integrare armoniosamente tutti gli aspetti della vita di una persona, l’ortoressia rappresenta una visione distorta del benessere, dove pensieri, emozioni e scopi sono totalmente assorbiti dalla ricerca costante di elementi di salubrità del cibo e dei comportamenti annessi a esso. Tra le caratteristiche delineate possiamo sottolineare la tendenza al “rumination”, cioè trascorrere fino a 4 ore al giorno a pianificare e programmare i pasti. Ovvero l’impiego di una grande quantità di tempo per pianificazione e gestione della spesa, a scapito di interessi, lavoro, relazioni ed economia personale. E infine la ricerca di procedure sofisticate per la consumazione e la preparazione dei pasti.»

Che caratteristiche ha il paziente tipico?

«Il paziente che ne soffre, spesso ritiene il suo comportamento eticamente impeccabile, e impiegando molte energie per la cura di sé non percepisce il disagio che invece diviene evidente agli occhi di chi gli sta intorno. Perlopiù si avverte la sensazione di giudizio che egli sviluppa nei confronti di chi non ha le stesse attenzioni, ed è come se il mondo si suddividesse in chi è veramente sano e chi invece mette a rischio la propria vita mangiando senza porre particolari attenzioni. Con il passare del tempo diventa impossibile andare al ristorante o accettare un invito a cena; l’attenzione alla qualità del cibo prevale sui valori morali e sulle relazioni sociali, lavorative e affettive, minando il funzionamento globale e il benessere dell’individuo (Brytek-Matera, 2012).»

Come si giunge a una diagnosi clinica?

«Il paziente arriva all’attenzione clinica per motivazioni derivanti da questi comportamenti, raramente per il problema in sé. Infatti dal punto di vista medico possono verificarsi squilibri elettrolitici, avitaminosi, osteoporosi, atrofie muscolari e sintomi legati all’impoverimento dietetico o all’abbassamento delle difese immunitarie; dal punto di vista psicopatologico invece potrebbero sviluppare sintomi secondari quali isolamento sociale, depressione, ansia. Il fanatismo della loro dipendenza comportamentale rende difficile per loro accettare di avere un problema e quindi richiedere aiuto.»

Come viene trattato questo disturbo?

«Coloro che riescono a giungere all’attenzione clinica possono assolutamente intraprendere un percorso integrato che prevede una psicoterapia, con un intervento di tipo cognitivo-comportamentale, un supporto di tipo anche farmacologico grazie al sostegno di una equipe che preveda anche la presenza di un nutrizionista al fine di ristrutturare cognitivamente le abitudini alimentari. Inoltre, grazie all’intuizione del Dott. Tullio Scrimali e alla dott.ssa Damiana Tomasello, è possibile applicare un protocollo specifico per tutti i disturbi alimentari, che preveda vari step e l’uso di tecniche di day therapy, oltre ad autoregolazione emotiva attraverso il biofeedback.».

Clemente Cipresso

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