Salute. Attacchi di panico: cosa sono e come si curano

NAPOLI – L’attacco di panico isolato e inaspettato è un’esperienza molto frequente nella popolazione generale, tuttavia solo una piccola minoranza sviluppa un vero e proprio disturbo di panico. L’ESEMD, l’European Study on the Epidemiology of Mental Disorders, è stato il primo studio epidemiologico sulla prevalenza dei disturbi mentali effettuato in un campione rappresentativo della popolazione adulta generale italiana e di altri 5 paesi europei: Belgio, Francia, Germania, Olanda e Spagna. In Italia lo studio è stato promosso e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nell’ambito del Progetto Nazionale Salute Mentale.

Secondo tale studio, in Italia sono circa 3 milioni le persone che soffrono di disturbi d’ansia e attacchi di panico e la percentuale di coloro che si rivolge a professionisti psicoterapeuti o a una struttura sanitaria è molto bassa; di questi infatti, i due terzi hanno consultato un operatore dei Servizi di Salute Mentale, mentre gli altri si sono rivolti al medico generico.

Il disturbo da attacchi di panico è molto diffuso nella popolazione giovanile: ne soffre il 33% dei giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni. E’ caratterizzato dal ricorrere di episodi acuti d’ansia a insorgenza improvvisa e di breve durata, notevolmente difformi per quanto riguarda l’intensità e le manifestazioni neurovegetative associate. Nella maggior parte dei pazienti che giungono all’osservazione clinica, gli attacchi di panico conducono allo sviluppo di manifestazioni ansiose a decorso protratto e di condotte di evitamento di tipo agorafobico, ovvero la paura di luoghi o situazioni nei quali può risultare difficile o imbarazzante fuggire rapidamente o essere aiutati nel caso di un attacco di panico improvviso. Come conseguenza i pazienti evitano di uscire da soli, di recarsi in posti affollati, di viaggiare in macchina o sui mezzi pubblici. Al riguardo approfondiamo con la Dott.ssa Rosalia Quagliariello, specialista in Psicologia Dinamica, Clinica e di Comunità e Master in Psicodiagnosi.

Che tipo di popolazione emerge da questi dati?

«Prendendo in considerazione i dati sulla popolazione italiana viene fuori che generalmente si ricorre poco agli interventi socio-sanitari, nonostante siano in aumento le persone che soffrono di disturbi di attacchi di panico, soprattutto giovani. Dai dati risulta inoltre che le donne hanno una probabilità tripla di sviluppare un disturbo d’ansia rispetto agli uomini e che sono più a rischio i giovani e non sposati, i disoccupati, le casalinghe e chi vive in città. Inoltre, solo una minoranza, circa uno su cinque di chi soffre di attacchi di panico, consulta lo specialista di competenza.»

Perché si ricorre poco agli interventi socio-sanitari?

«Ciò che s’interpone alla cura è la scarsa informazione sui servizi presenti sul territorio e la presenza radicata di pregiudizi. Uno di essi riguarda la figura dello psicoterapeuta e può essere così esemplificato: “Lo psichiatra cura i matti e se mi rivolgo a uno psichiatra sono anch’io matto o sono considerato tale”. Questo ostacolo è difficilmente superabile a causa della presenza di un sentimento di vergogna tanto forte da inibire l’acquisizione d’informazioni sia presso amici e conoscenti sia rivolgendosi al medico di base. Altro pregiudizio molto diffuso, come testimonia la pratica giornaliera, è quello della “volontà”, secondo il quale si ritiene che sarebbe sufficiente uno sforzo di volontà per superare il disturbo depressivo. Tale pregiudizio prescinde dal livello sociale, culturale e intellettivo ed è compito dello specialista sottolineare la falsità e i danni che ne derivano, poiché alimenta i già presenti sensi di colpa.»

Come si riconosce un attacco di panico?

«Negli attacchi di panico gli episodi critici risultano notevolmente difformi sia per l’intensità sia per le manifestazioni cliniche, anche se è possibile riconoscere alcuni aspetti fondamentali in comune: la comparsa dei sintomi è improvvisa, drammatica, spesso “a ciel sereno”; la durata della crisi è breve e può variare da pochi secondi ad un massimo di mezz’ora, un’ora; l’esperienza ansiosa è vissuta dal paziente come non derivabile da eventi esterni e si accompagna a un penoso senso di impotenza, di mancanza di controllo, di paura, di minaccia per la propria integrità fisica e psichica; è spesso presente una fase post-critica consistente in un periodo anche prolungato, fino a molte ore, in cui è presente marcata astenia, sensazione di “testa confusa”, difficoltà nella deambulazione, sensazione di sbandamento, vertigini.»

Quali sono i sintomi?

«I sintomi dell’attacco sono rappresentati tipicamente da apprensione, paura, terrore, senso di morte imminente, timore di perdita del controllo sulle proprie idee o azioni. A ciò si associa, in genere, un imponente corteo di modificazioni del sistema neurovegetativo quali difficoltà respiratorie, palpitazioni, dolore toracico, sensazioni di soffocamento, vertigini, vampate di calore e brividi di freddo, sudorazione profusa e tremori. I sintomi somatici, prevalentemente di tipo cardiorespiratorio e vestibolare, all’inizio del disturbo conducono il paziente a consultare medici internisti, cardiologi, otorinolaringoiatri o servizi di emergenza.»

Quali sono le manifestazioni comportamentali della crisi?

«Sono rare e spesso l’attacco di panico passa inosservato ai presenti. Lontano dall’esprimere clamorosamente la sua sofferenza, il soggetto cerca di nascondere ai vicini le sensazioni provate durante la crisi d’ansia. Talora però il paziente interrompe l’attività in corso e si allontana inspiegabilmente, cercando di raggiungere in fretta un luogo familiare. Generalmente il paziente, durante il primo attacco di panico, teme di avere un ictus, un attacco di cuore o un infarto. La prima crisi si associa, in genere, all’immediata percezione dell’ineluttabilità del suo ripetersi. Nella fase iniziale della malattia gli attacchi, anche isolati, vengono ben presto accompagnati dal persistere di uno stato di paura e di ansietà, associati a sintomi neurovegetativi. Un crescente timore che la crisi possa ripetersi comincia a pervadere l’intera esistenza del paziente che diviene, in tal modo, ansioso, teso, timoroso e vive in uno stato di continua apprensione, ipervigilanza e di allerta persistente. Questo particolare tipo di ansia, definita ansia anticipatoria, è diverso dagli attacchi di panico: dura più a lungo, anche ore, cresce lentamente e può raggiungere un’intensità tale da provocare sintomi fisici simili a quelli dell’attacco.»

Come si curano?

«Troppo di frequente gli attacchi di panico sono curati solo con farmaci. Questo equivale a dire che questi attacchi di panico sono lasciati non curati. Sempre più persone si sono persuase che il loro male non può essere guarito e che gli attacchi di panico continueranno a tormentarli per sempre. Nonostante spesso ci si senta persi e senza via di uscita, è quindi importante sottolineare che chi decide di intraprendere una psicoterapia ha spesso degli ottimi risultati. In particolare la psicoterapia sistemico-relazionale per l’attacco di panico guida il paziente a individuare la situazione minacciosa alla quale egli, inconsapevolmente, reagisce e lo aiuta a ricostruire la propria storia, le sue relazioni familiari per comprendere come la memoria ha stratificato gli eventi e ha collocato i traumi piccoli e grandi subiti nel tempo, trasformandoli in ricordi disturbanti.»

In cosa consistono le sedute terapeutiche?

«Il terapeuta insieme al paziente costruisce attraverso la sua narrazione un ”album fotografico psichico” per sapere di più sulla propria vita e sul perchè di determinati comportamenti. Nell’esperienza terapeutica con i pazienti si è riscontrato che spesso il panico è legato a situazioni che implicano un eccessivo allontanamento da una persona amata, oppure, in casi opposti, alla paura per la perdita della propria libertà. Trasferimenti abitativi, matrimoni, nascita dei figli, promozioni lavorative che implicano spostamenti, sono situazioni tipicamente connesse all’insorgenza del disturbo proprio perché in qualche modo implicano un mutamento nei rapporti interpersonali, aumentando la distanza dai propri cari o al contrario riducendo drasticamente la libertà. Le persone che soffrono di attacchi di panico hanno subito nel loro passato incidenti di percorso che hanno inciso sugli equilibri affettivi, spesso le famiglie da cui provengono sono “ansiogene” a volte poco affettuose o maltrattanti, in altri casi troppo premurose e controllanti. Spesso raccontano di famiglie dove la violenza, sia essa fisica che psicologica, era la quotidianità nelle relazioni, dove il sistema educativo si esprimeva attraverso la violenza verbale, l’ira e la rabbia, i bisogni psicologici erano negati, dove i premi o le punizioni erano inadeguati rispetto alla realtà, condizionati viceversa dagli umori contingenti.»

Qual è l’obiettivo della terapia sistemica?

«È permettere al paziente di ricollocarsi in modo armonico entro il proprio sistema di relazioni, abbassando il livello di ansia e disinnescando quindi il panico. La psicoterapia è di fondamentale importanza perchè aiuta l’individuo a prendere coscienza della sua storia e a rielaborare quei comportamenti involontari di controllo dai quali si pensa di dover dipendere senza possibilità di alcuna opposizione. Ogni volta che si affronta un caso di attacco di panico è necessario dunque che il lavoro terapeutico aiuti il paziente ad accedere alle proprie emozioni, intrappolate nel proprio corpo, permettendogli di gestirle.»

Esistono false credenze riguardo gli attacchi di panico?

«Una falsa credenza sugli attacchi di panico è che da essi non si possa guarire. Tale convinzione risulta falsa. Esistono due tipologie di trattamento valide: la terapia farmacologica e la psicoterapia. Tuttavia solo quest’ultima si è rivelata, nei vari studi, efficace nel prevenire ricadute future, mentre l’uso di farmaci permette di alleviare e gestire l’ansia soltanto nel breve periodo. In base ai risultati di alcuni trial clinici, la psicoterapia può portare a tassi di remissione che vanno dal 70% al 90%. Essa si basa sulla presa di consapevolezza da parte della persona sui pensieri che alimentano il suo disturbo e sulle dinamiche di vita relazionali all’interno del contesto di vita che incidono sullo sviluppo e il mantenimento del disturbo, imparando quindi a utilizzare le proprie risorse in maniera più proficua e a non farsi travolgere dall’esperienza del panico.

In conclusione?

«Accostare uno stile di vita sano a una psicoterapia è l’ideale per non soffrire più di questo disturbo.»

Clemente Cipresso

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