Politica, Europa, NATO e i ‘no’ agli USA. Intervista a Stefania Craxi

ROMA – Il fallimento del colpo di stato in Turchia, organizzato dalla fazione laica dell’esercito nazionale, ha permesso al presidente turco Recep Tayyip Erdogan di rafforzare con misure eccezionali la propria istituzione presidenziale. Tra i vari provvedimenti, i più importanti hanno riguardato la chiusura di oltre un centinaio di mezzi di informazione, l’epurazione di generali e di esponenti governativi e l’accerchiamento della base Nato di Incirlik, la più importante postazione nucleare dell’area Europea e Mediorientale.
Le accuse mosse dal presidente turco Erdogan nei riguardi della partecipazione statunitense al fallito colpo di stato, hanno aggravato ulteriormente i rapporti tra Turchia e Stati Uniti, permettendo in tal modo un riavvicinamento della Turchia alle politiche energetiche Russe. Tuttavia, il trauma derivante dall’accerchiamento di una delle più importante postazioni NATO non è ancora stato superato dalla Turchia né dagli Stati Uniti, che mai prima d’ora, a parte il caso della base siciliana di Sigonella (10 ottobre 1985. Crisi diplomatica e rischio di scontro armato sulla pista siciliana della base aerea di Sigonella, tra la Vigilanza Aeronautica Militare, i Carabinieri e i militari della Delta Force statunitense, intervenuti senza permesso sul territorio italiano per prelevare con la forza i sequestratori della nave da crociera Achille Lauro – ndr), avevano sperimentato una simile reazione da parte di uno stato membro della NATO.

Per comprendere gli sviluppi e le eventuali ripercussioni sullo scenario europeo, abbiamo raggiunto Stefania Craxi, presidentessa della fondazione Craxi, figlia del defunto presidente del consiglio Bettino Craxi, all’epoca protagonista della vicenda passata alla storia come la “Notte di Sigonella”, per rivolgerle le nostre domande.

Il caso Sigonella, che ha avuto come protagonista suo padre, è stato una dimostrazione di priorità statale e di risolutezza politica, nonché di rispetto dei protocolli nazionali. Tuttavia, in molti oggi demonizzano tali politiche, premendo per una totale cessione delle autonomie nazionali a favore di organi metanazionali. Per quale motivo tali autonomie vengono così duramente criticate?

«Partiamo dalla storia e da Sigonella. L’intera vicenda va letta nel contesto internazionale. Sebbene l’interesse primario di Craxi fosse quello di salvare i passeggeri dell’Achille Lauro, evitare una strage e, conseguenzialmente, far rispettare la sovranità italiana e il diritto internazionale, la bussola di ogni agire fu una condivisa visione geopolitica. Fare diversamente, e quindi consegnare i dirottatori agli USA, significava perdere qualsiasi credibilità e autorevolezza nello scacchiere internazionale, specie nel Mediterraneo e in Medioriente, con conseguenze negative per il processo di pace.
Detto ciò, si può ben capire come la difesa dell’interesse nazionale fosse un tutt’uno e funzionale a una visione euro-mediterranea, e quindi l’opposto di una posizione nazionalista tout court. Quanto all’oggi, non parlerei neanche di nazionalismi, ma di egoismi e di pulsioni localistiche che originano dalla paura, da una globalizzazione selvaggia, da una finanza rapace e d’assalto, dall’emergenze epocali del nostro tempo come l’immigrazione e dalla crisi economica, politica e istituzionale della vecchia Europa. E’ un mix da far tremare i polsi. Per questo è necessario capire le origini di questi fenomeni, affrontare le cause e non gli effetti. Una terapia inversa è deleteria perché rischia di acuire i secondi e non risolvere i primi. Io credo che bisogna fare attenzione a non confondere queste istanze assai crescenti e diffuse, con i demagoghi che tentano di interpretarle e orientarle a loro uso e consumo. Se però continuano a crescere le forme di disprezzo verso i riti della democrazia e l’irriguardosa irriverenza verso il sentimento popolare, che una certa intellighenzia da salotto teorizza e pratica senza pudore, non si fa che prestare il fianco. Una politica sana, forte e autorevole, dovrebbe riappropriarsi della sua funzione di raccordo tra cittadini ed istituzioni. Il trinomio populismo-nazionalismo-Unione Europea ha come inevitabile conseguenza la discussione di un argomento di per sé già molto dibattuto: la sovranità.»

Lei è d’accordo con gli analisti che indicano il crollo della ‘prima’ Repubblica come il risultato di una giustizia politicizzata, supportata da poteri forti e finalizzata all’eliminazione di una classe dirigente contraria alla cessione delle sovranità politiche ed economiche? Così fosse, cosa attenderci dall’attuale classe dirigente?

«Io, come la stragrande maggioranza degli italiani, non mi aspetto nulla. La politica è debole, non ha ruolo e non ha funzione, poiché è priva di legittimazione popolare e non è stata ancora in grado di riformarsi e quindi riformare davvero e a fondo un Paese bloccato. La sovranità si tutela in molte forme e per farlo davvero non serve la bandiera all’occhiello e cantare l’inno se poi, nei terreni istituzionali, si è alla mercé di lobby e interessi terzi e non si richiedono processi trasparenti, condivisi e partecipati. I poteri forti non sono un’invenzione, ma nemmeno un’oggetto oscuro. Sono interessi consolidati che agiscono a loro tutela e difesa. La politica dovrebbe fare lo stesso, con più forza, con più autorevolezza nell’interesse dei cittadini, specie dei più deboli, e regolare i processi. Fu quello che, di fatto, una certa politica voleva fare innanzi alla caduta del muro di Berlino e all’avvio della globalizzazione, ma che, causa alcune debolezze intrinseche del sistema, l’irresponsabilità di alcuni poteri e la convivenza di alcune forze politiche che avevano perso la partita della storia, non gli fu concesso di fare perché delegittimata e messa fuori gioco grazie a un connubio rivoluzionario tra media e magistratura. Per capirlo, non servono informazioni riservate. Basta vedere le privatizzazioni in regime di monopoli, le svendite a prezzi d’incanto di settori strategici per lo Stato e i troppi capitani coraggiosi che ne hanno beneficiato.»

Come sono cambiate le relazione bilaterali tra Stati Uniti e Italia in questi ultimi decenni?

«Innanzitutto è giusto ricordare che Craxi fu l’unico uomo di governo e leader politico italiano che attraversò la “guerra fredda” senza compromissioni a ‘est’ come a ‘ovest’ come testimonia la vicenda degli euromissili e la stessa Sigonella. Lui immaginava un’Italia che si sedesse con pari dignità dei suoi interlocutori nei consessi internazionali e svolgesse un ruolo guida nei processi mediterranei. Quella visione, purtroppo, non c’è più. Lo dicono i fatti e la cronaca. E non è un caso. Come non è un caso se le relazioni tra Italia e Stati Uniti, i cui interessi strategici spesso non coincidono, sono assai subalterne. Purtroppo, non è una peculiarità del nostro rapporto con gli USA, ma un connotato assai presente nella nostra politica estera.»

Chris Barlati

Comments

  1. Intervista molto interessante, perché Stefania Craxi appare in una veste nuova, più umana e consapevole … giustissime le cose che dice a proposito del padre e della sua volontà di fare dell’Italia una nazione che si sedesse con pari dignità nei consessi internazionali e svolgesse un ruolo guida nei processi mediterranei … purtroppo la storia è andata diversamente e comunque anche il lato oscuro e interessato in termini economici personali dovrebbe determinare il giudizio storico su uno dei personaggi politici più discussi.

  2. La cosa che più mi inquieta è l’incapacità, da parte del popolo italiano, di comprendere la realtà di quello che sta accadendo da un quarto di di secolo a questa parte.

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