Tumori. Gestire la sofferenza con la psiconcologia

PALERMO – Circa 25 milioni di persone nel mondo convivono con un tumore in fase di cura o di remissione, oppure considerato cronicizzato o guarito. In Italia sono più di 2 milioni, il 4% della popolazione, dei quali il 57% da più di 5 anni. A questi dati vanno aggiunti i numeri riferiti agli operatori che muovono la ‘macchina’ di gestione del paziente oncologico all’interno delle strutture specializzate, che devono fare i conti con il dolore dei pazienti e che si trovano esposti quotidianamente al rischio di burn-out o di condizioni di disagio psicologico più o meno grave, conseguente alla propria attività professionale.

La psiconcologia è una disciplina che implicitamente e per sua stessa natura nasce, cresce e opera all’interno della prospettiva biopsicosociale. La potenza dell’impatto psicologico che l’evento oncologico esercita sull’individuo è imprevedibile, poiché è influenzato da fattori peculiari e relativi all’unicità irripetibile del soggetto che ne viene colpito, dalle dinamiche che intervengono all’interno del suo nucleo familiare e dall’organizzazione dell’equipe curante a cui si rivolge. Di psicooncologia e tanto altro parliamo con il Dott. Pietro Ganci, psicologo specializzato in Psicologia Clinica e di Comunità, Psiconcologo e Psicoterapeuta in formazione.

In cosa consiste il trattamento di psiconcologia?

«Consiste in una fase di valutazione preliminare da parte del team oncologico, una rilevazione specialistica del grado del disagio psichico della persona malata e la proposta di un intervento di supporto da parte del professionista, referente per la struttura oncologica. Sebbene ultimamente siano stati validati alcuni strumenti specifici per lo screening generale del distress, il miglior mezzo per una diagnosi appropriata continua a essere rappresentato dal colloquio psicologico. Ogni individuo reagisce a eventi critici imprevisti, quali la malattia oncologica, con modalità e comportamenti che sono in primo luogo connessi alla propria storia personale e familiare. In merito alla fase terapeutica vera e propria è importante specificare che diversi orientamenti teorici in ambito psicologico si sono occupati di approfondire tecniche mirate e specifiche per la gestione della sofferenza psichica portata dal paziente neoplastico. Gli orientamenti cognitivo-comportamentali, ad esempio, sono finalizzati a mettere in grado il paziente, destabilizzato da vissuti di impotenza, di sperimentare un maggior senso di controllo e di padronanza sulla situazione di crisi innescata dal tumore. L’idea è quella secondo cui la maggior fonte di sofferenza non sia rappresentata dalla malattia in sé, bensì dai pensieri che il paziente formula su di essa. I modelli di intervento psicodinamico, pur nella loro eterogeneità, si basano sul concetto che la sofferenza psichica dei pazienti derivi dalle loro difficoltà di adattamento ai profondi cambiamenti che si verificano in seguito alla malattia e dalla difficoltà di accettare le sfide di una realtà che, di fatto, è cambiata. Di fronte a una diagnosi di cancro dunque, le persone colpite tenderebbero in prima istanza a cercare di ripristinare stili di vita e pattern di comportamento precedenti, cui possono conseguire situazioni di resistenza e di blocco rispetto all’integrazione della malattia nella propria traiettoria esistenziale. In ogni caso, tutti i percorsi di psicoterapia siano accomunati da alcuni obiettivi fondamentali, che possiamo individuare nell’aiutare il paziente a comprendere il senso della malattia e a integrarlo nella propria esperienza soggettiva, nel ridurre o contenere il suo disagio emozionale e favorire lo sviluppo di modelli più adattivi di reazione alla patologia oncologica e alle sue implicazioni fisiche e psicologiche.»

Le caratteristiche del paziente tipico?

«Nella maggior parte dei casi la malattia viene vissuta come un’esperienza che ‘esplode’ dentro, come una realtà che opprime e fa sentire impotenti. Ne conseguono interrogativi inquietanti sui significati che hanno, fino a quel preciso momento, informato la vita personale e relazionale. Nello stesso tempo comincia per l’individuo, ora divenuto “paziente”, l’impatto con le cure. Il paziente psiconcologico vive sospeso tra un tempo presente, vissuto come un “non tempo”, tiranno e padrone assoluto del suo esistere, e un tempo passato carico di obiettivi, a volte di progetti che spesso non è stato possibile portare a compimento. Da una parte dunque la malattia fisica che ha aggredito il corpo sollecita una presa d’atto attraverso i cambiamenti indotti da terapie e/o da interventi chirurgici, non lasciando spazio al dubbio e all’eventuale possibile negazione; dall’altra, l’individuo, solo di fronte a se stesso, è costretto a interrogarsi sul senso di tutto ciò che fino a un attimo prima sembrava ovvio. Sono frequenti a questo proposito situazioni in cui il soggetto riprende a vivere non a piccoli passi, ma immettendosi con più foga nelle cose che faceva prima della diagnosi, come se in questo modo la realtà di quest’ultima potesse essere negata. Molto più frequentemente si evidenzia, là dove la malattia si è ‘sovrapposta’, intrecciandosi inscindibilmente alla realtà esterna preesistente del soggetto, ciò che non è più possibile rimandare, continuare a ‘non vedere’: la morte di un genitore con cui si era appena ricucita una fragile intesa; il ricordo di un partner che ci ha intensamente amato e a cui abbiamo incomprensibilmente rinunciato; l’esclusione, non digerita, da un incarico professionale affidato ingiustamente ad altri; il figlio mai nato, la cui possibilità è compromessa dalla malattia e dalle terapie. Il paziente psiconcologico si trova a fare inevitabilmente i conti con il sentimento del limite dei suoi progetti di vita e a porsi interrogativi inquietanti sulla ‘necessità’ di quei progetti, in un confronto critico sui valori che hanno informato la sua esistenza fino a quel momento.»

Come si svolge tecnicamente il trattamento?

«Il ruolo del trattamento psiconcologico è favorire e promuovere questo processo di elaborazione che conduce pian piano nel tempo a una progressiva consapevolezza emotivo-cognitiva della perdita subita, a una successiva ristrutturazione del Sé che tenga conto della perdita, non negando il dolore ma riconoscendolo, e infine producendo il ritorno all’amore, alla stima di sé sofferente. Per poter lasciare andare il passato, senza perdere il proprio sé, è necessario non annullare il dolore, non cercare di mettere troppo affrettatamente ‘pietre sopra’ a ciò che è soggettivamente presente, l’unica soluzione possibile è la gestione della sofferenza: viverla e poterla esprimere in uno spazio relazionale adeguato che dia la possibilità di contenere e di elaborare le emozioni depressive. Questo spazio è costruito all’interno della relazione terapeutica rappresentata dal trattamento psiconcologico. E’ frequente inoltre effettuare colloqui all’interno dei quali vengono coinvolti anche i caregiver e le principali figure familiari del paziente.»

Può descrivere il paziente prima e dopo il trattamento?

«Il cancro rappresenta un incontro che intacca inesorabilmente l’avvenire con la rivelazione brutale dei propri limiti, con la consapevolezza della precarietà del proprio essere e con la difficile accettazione della finitezza della propria esistenza. Questo sintetizza lo stato depressivo, ansioso e, spesso, impotente del paziente psiconcologico quando accede al trattamento: si tratta di un individuo in crisi. Pertanto, dopo il trattamento il paziente avrà effettuato un percorso che gli avrà consentito di effettuare la comprensione e l’acquisizione del significato della malattia, elementi che trasformano il cancro da evento critico a opportunità di crescita personale e di cambiamento.»

Cosa capita spesso in questo percorso?

«Quando si parla di psiconcologia si va incontro al mito del paziente terminale che ha bisogno dello psicologo per essere accompagnato verso la morte. Oppure ci si confronta con la falsa credenza per cui l’intervento sia rivolto esclusivamente al paziente oncologico che affronta il trauma della malattia e dei fantasmi di morte che questa gli sollecita. In realtà, come già ampiamente sottolineato in precedenza, l’intervento psiconcologico si colloca dentro la cornice del modello bio-psicosociale e coinvolge tutti coloro che sono inclusi all’interno dell’ambito oncologico, dagli operatori ai pazienti e ai loro familiari.».

Clemente Cipresso

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