Solidarietà. Cena di beneficenza al Centro Regina Pacis

QUARTO – La solidarietà è di casa al Centro Educativo Diocesano Regina Pacis, che venerdì 15 giugno ha ospitato una cena di beneficenza organizzata dalla Cooperativa omonima. I partecipanti hanno così potuto contribuire a sostenere i progetti volti a favorire la formazione professionale, l’autofinanziamento e l’inserimento nel mondo del lavoro dei ragazzi accolti dal Centro.

Il Centro Educativo Regina Pacis è un’opera di educazione e di carità della Diocesi di Pozzuoli, retta dal direttore Don Gennaro Pagano, che si occupa dell’inclusione sociale e del sostegno di bambini, giovani e famiglie. Tra i tanti progetti attivi presso la struttura, c’è quello che provvede ad accogliere persone che fronteggiano difficoltà, in particolare giovani che vogliono reintegrarsi dopo periodi di detenzione, minori stranieri non accompagnati e giovani migranti. Dall’esigenza di estendere il supporto anche alla formazione e all’inserimento lavorativo dei ragazzi, è nata nel 2016 la cooperativa, che attraverso la produzione di prodotti biologici come miele, marmellate, ortaggi e conserve, mira a fornire loro gli strumenti necessari per tale finalità.

Venerdì, oltre 100 persone hanno deciso di supportare l’iniziativa della Cooperativa Regina Pacis, che si propone di avviare un progetto di catering sociale che coinvolga i ragazzi del Centro. Al riguardo abbiamo intervistato Cristian De Simone, presidente della Cooperativa Regina Pacis.

Di cosa vi occupate?

«Ci occupiamo della produzione di beni biologici, a chilometro zero. Produciamo miele di vario genere: miele di acacia, miele di castagno, miele di melata, in base a ciò che le nostre api riescono a produrre, abbiamo circa venti arnie. Produciamo anche marmellate e in più abbiamo un piccolo orto»

Quando nasce la cooperativa?

«Nel 2016, per affiancare il lavoro del Centro Regina Pacis, un centro della Diocesi di Pozzuoli che non riceve sovvenzionamenti statali, ma solo mediante l’Otto per mille o iniziative di carità. Ospita ragazzi che provengono dal carcere di Nisida o comunque da altre esperienze carcerarie, e ragazzi arrivati con i cosiddetti barconi della speranza, quindi prevalentemente dall’Africa e dall’Asia. Prima del 2016 li ospitavamo e gli davamo gli strumenti per muoversi qui in Italia. Ci occupavamo quindi di dar loro una formazione che comprendesse la conoscenza della lingua e delle leggi, e la possibilità di andare a scuola. Poi però mancava l’ultimo step, che era quello di inserirli lavorativamente».

Dunque perché questa cena?

«La cena ha lo scopo di finanziare i progetti della cooperativa, che sono progetti di inserimento sociale. Insieme ad altri eventi che stiamo organizzando, l’obiettivo è quello di finanziare un progetto di catering e ristorazione e altri progetti di scuole di mestiere. Questi permetteranno ai ragazzi di avere una formazione prima, con un inserimento lavorativo graduale, e di avere un domani un curriculum che consentirà loro di muoversi all’interno del mondo del lavoro».

Come hanno risposto i cittadini?

«Non ci aspettavamo tanta affluenza: c’erano quasi 110 persone, e fino a tre giorni fa credevamo che intervenissero al massimo in 40. La cena ha superato qualsiasi aspettativa, ma al di là dell’affluenza è stata davvero una bella serata, perché si è creato un clima molto familiare. I ragazzi erano affiatati in cucina e in sala durante la distribuzione del cibo, non ci sono stati problemi e per fortuna il ricavato c’è stato, quindi adesso speriamo di riuscire a partire con queste attività».

In futuro?

«Abbiamo tante iniziative, purtroppo servirebbero altri fondi. Per adesso partiamo con questo catering sociale che speriamo di riuscire a inaugurare per la fine dell’estate, verso settembre. Ci sono ovviamente molti lavori da fare, attrezzature da comprare, però pian piano pensiamo di riuscirci, anche perché per il 23 e il 24 giugno saranno allestiti dei mercatini, che si ripeteranno poi ogni mese, il cui ricavato confluirà sempre in questi progetti. Occorrono tempo e pazienza, ma ce la dovremmo fare».

Noemi Orabona

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