Immigrazione. Europa di muri, Italia di SPRAR

LATINA – L’ONU, Organizzazione delle Nazioni Unite, tramite il sottosegretario per gli affari umanitari Stephen O´Brien, a seguito dell’offensiva anti-Isis in corso a Mosul in Iraq, ha nei giorni scorsi denunciato perplessità sulla sorte di 1,2 milioni di possibili sfollati, che potrebbero diventare potenziali scudi umani nel conflitto tra l’ISIS e le forze dell’esercito iracheno. E quella che si preannuncia come la più grande operazione per liberare la città irachena, caduta nelle mani dell’Isis nel giugno 2014, potrebbe provocare una nuova migrazione di civili verso la Siria. Al riguardo, l’UNHCR, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha stimato che tra il 1° gennaio e il 30 settembre 2016 sono già sbarcati in Europa circa 300.000 immigrati, di cui 166.749 in Grecia e 131.702 in Italia, evidenziando tuttavia una diminuzione di sbarchi in quest’ultima del 40% rispetto all’anno scorso.

L’Europa non è ancora riuscita a produrre una politica comune di accoglienza e integrazione, da adottare per i profughi o i rifugiati già presenti sul territorio. L’unico accordo per ora, preso all’unanimità dai paesi dell’UE nei confronti degli immigrati, è stato quello firmato con il primo ministro turco Erdogan a marzo scorso, per bloccare i migranti oltre l’Egeo: una manovra costata già 3 miliardi di euro all’Unione Europea, contro i 6 miliardi chiesti dalla Turchia.

Sabrina Yousfi è una cittadina italiana di origine algerina che ha collaborato alla campagna #overthefortress del progetto Melting Pot Europa (Sostegno ai diritti degli immigrati provenienti dalle zone di conflitto del Medio Oriente, bloccati dopo l’accordo tra UE e Turchia, quindi esclusi dalla possibilità di richiedere asilo in Europa – ndr), nonché socia della cooperativa sociale “Alternata Silos”, che da 10 anni si occupa di immigrati a Itri, Comune in provincia di Latina. Attualmente lavora in un Cas, centro di accoglienza straordinaria o prima accoglienza; e in uno SPRAR, servizio centrale di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, centro di seconda accoglienza di Itri. Ha risposto alle nostre domande circa la gestione e il funzionamento del processo di migrazione in Italia.

La differenza tra i CAS e gli SPRAR?

«I Cas o centri straordinari, gestiti dal Ministero degli Interni tramite le prefetture, sono nati per ovviare la mancanza di posti nei centri di prima accoglienza, qui avviene un primo Hotspot di registrazione, riconoscimento e collocamento a seconda dello status richiesto, sono posti di permanenza limitata e temporanea, in attesa dello status, per poi trasferire la persona nelle strutture di accoglienza secondaria. Gli Sprar invece, servizio centrale di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, sono centri di seconda accoglienza, gestiti dagli enti locali, dove si verifica una concreta integrazione tra gli immigrati e il territorio che li accoglie, con programmi scolastici e lavorativi finanziati dal fondo nazionale».

Come funzionano?

«Facendo capo a due poteri diversi, uno centrale e l’altro locale, tra i due c’è un divario di gestione e funzionamento. I primi adottano ancora una politica emergenziale, con un dispendio di tempo e risorse: mancano o sono poche le figure centrali previste all’inizio di un percorso di accoglienza, come psicologi, interpreti e mediatori culturali, non garantiscono personale competente che valuti anche gli aspetti psicologici, e seguono solo procedure dettate dal Ministero, cioè inevitabilmente lì si accumulano più persone possibili, anche oltre il massimo previsto, senza offrir loro nessuna prospettiva. Sempre lì, restano in attesa della Commissione per la richiesta di asilo, che se rigettata porta a un iter di oltre due anni, ben oltre i sei mesi massimi di permanenza previsti nei Cas. Al contrario, i secondi, gestiti localmente, sono all’incirca 400 tra comuni e provincie, ed essendo finanziati dal fondo nazionale sono ancora pochi e soggetti a forte controllo e vigilanza. In molte regioni ci sono stati importanti risultati che ci fanno ben sperare in una buona integrazione locale».

Come funziona invece in Europa?

«Non essendoci una disciplina unitaria sulle politiche da adottare nei confronti dell’immigrazione, accade di tutto. La Grecia per esempio è stata sanzionata perché non rispettava i diritti umani, sfruttando gli immigrati con paghe bassissime, poi ha alzato un muro al confine con la Turchia. L’Austria ha deciso di creare una barriera sul Brennero, e l’Ungheria lo ha fatto contro la Serbia. La Germania invece ha accettato solo siriani e curdi, i quali sono laici e altamente istruiti, dunque con un divario culturale sicuramente inferiore rispetto a quello di un immigrato dei paesi dell’Africa. Tutto questo indica una profonda spaccatura tra i paesi dell’UE, che ci porta a pensare lontani da una politica unitaria sull’immigrazione, e con l’accordo con la Turchia, siamo molto lontani dai valori a cui ci ispiravamo».

Emanuela Conte

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