Cyberbullismo. Gli psicologi: “Anche la scuola è responsabile”

LATINA – Il 18 settembre del 2015, Andrea Natali, di Borgo D’Ale, nel Vercellese, veniva ritrovato dalla madre impiccato nella sua camera da letto. A distanza di pochi giorni la procura di Vercelli scoprì immagini e video offensivi e diffamatori, risalenti all’anno precedente, che circolavano in rete e che avevano spinto il 27enne a rinchiudersi nella sua camera in preda a una profonda crisi depressiva, fino all’estremo gesto.

E’ solo uno dei tanti tristi episodi, nemmeno il più recente, in cui i giovani sono protagonisti involontari della cronaca, ma è senza dubbio il sintomo di un fenomeno pericoloso: in Italia un adolescente su tre è vittima di cyberbullismo, cioè azioni ripetute e intenzionali poste in essere da un bullo attraverso strumenti elettronici: sms, chat room, siti web, video, social e altro ancora, con il fine di danneggiare la vittima. Il bullismo 2.0 è un fenomeno in crescita, sopratutto nella fascia di età tra 11 e 13 anni, in cui il 71% dei giovani, secondo i dati di Telefono Azzurro, si collega a internet lontano dal controllo dei genitori.

Andrea, Carolina, Amanda sono solo alcuni nomi delle vittime che non hanno retto a un problema che invade la mente, schiaccia le persone, una quotidiana tortura che mina l’autostima e aumenta l’autolesionismo, la depressione e che può portare al suicidio. Nel web nascono infatti vere e proprie realtà parallele, perché Internet è specchio della realtà, una delle sue forme di espressione, è necessario dunque insegnare ai giovani utenti i pericoli della rete, aiutando i ragazzi e i genitori a conoscere e utilizzare in modo consapevole, controllato e sicuro questo strumento.

Al riguardo abbiamo raccolto la testimonianza degli psicologi Francesco Treglia, specialista in psicoterapia dell’individuo, della coppia e della famiglia; e Francesco Ciufo, ex psicologo della scuola media statale Sebastiano di Minturno (LT).

Dott. Treglia, perché i ragazzi sono sempre online?

«Internet e quindi i social sono ormai la forma più diffusa di comunicazione per i giovani. Infatti proprio qui si abbattono dei passaggi e si creano subito rapporti di amicizie o amori che sarebbero più difficili da creare nella vita reale. Ci si creano delle identità parallele in cui i giovani cercano di capire cosa si pensa o si dice di sè, e questi ‘giudizi’ vanno a incidere nelle relazioni reali. A volte le due ‘vite’ ti aiutano a definire la tua personalità e sviluppare aspetti positivi.»

Quando diventa un problema?

«Quando non si condividono più le informazioni all’interno del proprio nucleo familiare o scolastico, o si iniziano a evitare i contatti sociali offline, quelli reali. E ancora malesseri fisici ripetuti, difficili da riconoscere e ricondurre a disagi psicologici. Fondamentale è un utilizzo consapevole delle tecnologie da parte sia dei giovani che delle famiglie e della scuola.»

E’ tracciabile il profilo-tipo del cyberbullo e della vittima?

«E’ difficile in quanto devono valutarsi una serie di condizioni: il contesto sociale, familiare e altro. A volte neanche questi sono i fattori che portano a essere bulli o cyberbulli. Sicuramente vittima è qualcuno che si percepisce diverso e non rientra nelle regole del gruppo e più in generale nei modelli sociali».

Infine l’intervento del Dott.Ciufo, che ha spiegato le grandi difficoltà vissute all’interno delle scuole, a volte parcheggi per i giovani. Luoghi che diventano centri demotivanti in cui i professori si limitano a istruire, ma senza educare i giovani ai sentimenti e alle emozioni, che vengono soffocate e sfogate a volte nella droga, nell’alcool e nella violenza: «Non c’è apprendimento senza gratificazione emotiva, rischiando così oggi di portare i giovani a vagare senza orizzonti in quel nulla inquieto e depresso che nemmeno il baccano della musica giovanile riesce a mascherare».

Emanuela Conte

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