Artisti emergenti. “La casa nuova” di Salas è la Musica

NAPOLI – Venerdì 26 giugno è uscito il primo disco di Salas, nome d’arte di Antonio D’Angelo, cantante indie folk napoletano classe ‘96. E’ un lavoro autoprodotto di sei canzoni, anticipato dal lancio di due singoli intitolati “Trasloco” (Video in basso) e “Pigiama”.

Il lavoro di Salas prende spunto da “For Emma, Forever Ago” del gruppo indie folk Bon Iver, cui aggiunge un lavoro autoriale all’italiana di tutto rispetto, e suoni maturi che mescolano il legno e l’acustica con l’elettronica, trascinando l’ascoltatore nel mondo e nella vita di Salas, con malinconia, educazione e intimità, non a caso l’artista afferma: «Potrebbe essere una raccolta di tutto ciò che è accaduto finora nella mia vita. “La Casa Nuova” è la nostalgia di tutto quello che è venuto: una casa, un posto, i vent’anni, un padre e una madre, gli amici e i fratelli, l’amore».

Un album di esordio di buona qualità, in cui è difficile individuare il brano migliore. Al riguardo abbiamo raggiunto Salas per rivolgergli le nostre domande.

Le è riuscito propio bene questo primo lavoro, è stato semplice autoprodurlo?

«Non è stata una produzione facile. Rincorrevo l’idea di questo disco da un paio d’estati. Ho incontrato Luca De Matteis e insieme abbiamo iniziato a lavorare su questi brani. Lui è un musicista assoluto, molto più di me, ha gusto e sensibilità. Ci siamo subito trovati sulla strada giusta. Ha arrangiato i brani, chè io faccio sempre fatica a dire che li ho arrangiati con lui, limitandomi a dare indicazioni, a dire sì o no, esprimendo gusti e desideri. Poi abbiamo portato questi brani in studio da Joe Nocerino. Una scoperta fantastica. La sua esperienza ci ha aiutato a prendere questi brani e farli diventare delle canzoni da disco, curando le atmosfere, le sonorità, riempiendo i vuoti e creandone apposta. Ha suonato tra l’altro anche il basso e le chitarre elettriche del disco. Al trio formato da Luca, Joe e me è stato poi costantemente vicino e dentro la produzione del disco Roberto Guardi, che ha curato e suonato tutte le percussioni e il sitar in “Pigiama”. Roberto è un bel musicista, un sensibile cantautore e una persona speciale. Il suo confronto e conforto, dentro e fuori dallo studio, è stato fondamentale. Alla causa hanno partecipato anche Domenico Carmelo e Marco Lembo, con una tromba e un contrabbasso in “Limone”, che hanno alzato il groove generale del pezzo e del disco.»

Ma come è nato?

«Fin dall’inizio l’idea è stata quella di proporre una canzone italiana che potesse unire, senza far storcere il naso, i suoni acustici di chitarre e i suoni elettronici di synth, le batterie elettroniche e quelle reali, gli archi e le trombe con i piani elettrici e i moog. Non è stato facile, è un equilibrio sottile. E credo anche che ci sia parecchio margine di miglioramento. Però ci siamo presi la briga di rischiare, di essere coraggiosi, con pezzi anche troppo lunghi, con delle code strumentali mai esclusivamente virtuose, ma sempre inserite nel discorso totale del pezzo. Abbiamo provato a non ripetere e ripeterci, a non essere prevedibili, a cercare la nota giusta. Possiamo migliorare, ma per adesso sono davvero felice.»

Perché autoprodursi oggi?

«L’autoproduzione è una scelta. I costi sono quelli che sono e amen. I sacrifici, il tempo, la fatica sono compensati dalla bellezza, dal divertimento, dalla soddisfazione. E’ una necessità, se non lo fosse mi darei ad altro. La parte più dura viene dopo. L’opinione generale è che fare un disco sia facile: ti metti, scrivi, registri e buonanotte. Costa tanto. E non finisce mai. La parte di promozione soprattutto ti vede coinvolto 24 ore su 24, per non parlare del procacciarsi le date live. E oggi, che suonare live è così proibitivo per gli strascichi dell’epidemia, l’unico modo per fare girare un disco è che qualcuno ne parli. E io vi ringrazio tanto per l’opportunità. E il pubblico che non può sostenere la musica andando ai live, ha un solo modo per aiutare gli artisti: far girare il disco, parlarne, fare passaparola, ascoltarlo e se possibile comprare le copie fisiche, perchè, per quanto possa sembrare materialista, pure noi cantautori dobbiamo mangiare.»

E allora ascoltate e parlatene

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