Adolescenza. Tra social network e realtà, giovani a rischio “Blue Whale”

MILANO – A Livorno il 7 marzo scorso, intorno alle ore 07:30 del mattino, un ragazzo di 15 anni è volato giù da un grattacielo, il più alto della città, suicidandosi probabilmente, non è ancora stato confermato dalle Forze dell’Ordine, a causa del ‘gioco’ Blue Whale: sarebbe la prima vittima italiana di un gioco nato in Russia, diffuso dal giovane studente di psicologia Philipp Budeikin, attualmente detenuto e non pentito.

Il ‘gioco’ prevede l’adescamento sui social network di fragili adolescenti di età compresa tra i 9 e i 19 anni, che vengono spinti a superare 50 macabre prove, fino al suicidio. Al riguardo, abbiamo raccolto la testimonianza di M. una 17enne di Chioggia, città in provincia di Venezia, che afferma di aver giocato fino al 25° giorno: fortunatamente la corsa al suicidio si è conclusa nel migliore dei modi, grazie all’intervento dei genitori, che hanno scoperto il diario della ragazzina, dove stava annotando tutte le prove superate: «tra le ‘balene’ (Così si chiamano i partecipanti al macabro gioco – ndr) c’era anche il ragazzo di Livorno. Tutto è iniziato due mesi fa su Facebook, dove ho ricevuto un messaggio da un uomo che si faceva chiamare “curatore”, che mi chiedeva: “ti va di fare un gioco?”, io risposi di sì, così mi disse che la prima regola era quella di non dirlo a nessuno. Accettai. A quel punto mi spiegò le regole e l’obiettivo, però io mi tirai indietro, ma lui mi minacciò di fare del male alla mia famiglia. Cosi ho proseguito il gioco. Ogni giorno dal mio “curatore” ricevevo le prove di fiducia consistenti in atti di autolesionismo, che dovevo compiere e fotografare, e poi inviargliele. Ne diventai completamente succube, mi sentivo inutile e pensavo che la mia morte sarebbe stata la soluzione migliore per tutti. Al 25°giorno i miei genitori trovarono un taglierino nel mio diario segreto. Lessero le regole del gioco e mi portarono subito dai Carabinieri, i quali dissero di non aver mai sentito parlare di un gioco del genere. Oggi seguo un percorso con psicologi e posso dire a tutti i miei coetanei di lasciar perdere questo stupido gioco e di parlarne con i genitori».

La testimonianza di questa ragazza ci ha spinto ad approfondire l’argomento con la Dott.ssa Erica Crespi e la Dott.ssa Caterina Bianconi del Centro Psicologia Città Studi di Milano, specializzate in psicologia dell’età evolutiva e dell’adolescenza.

Come sono cambiati gli adolescenti di oggi rispetto alla precedente generazione?

Crespi: «Quello che è cambiato non sono tanto le sfide evolutive adolescenziali, ossia costruzione identitaria e processo di separazione individuazione dalla famiglia di origine, quanto il campo su cui queste sfide si giocano. Mentre infatti ai nostri tempi il campo d’azione era prevalentemente analogico e quindi la socialità si giocava all’interno della comunità locale, che poteva essere la scuola, il quartiere, la città, oggi il campo d’azione è quello di una comunità virtuale, caratterizzata da una labilità di confini, anche della diffusione di quanto postato in rete».

Quali sono le problematiche da risolvere?

Bianconi: «Credo che tra le problematiche più diffuse tra gli adolescenti di oggi si possano annoverare disturbi d’ansia, alimentari, dipendenze, difficoltà emotive e comportamentali. Va detto che l’adolescenza è un periodo di costruzione identitaria e come tale espone il giovane a quell’incertezza e precario equilibrio che fisiologicamente accompagnano il suo percorso verso la definizione di chi è e chi vuole essere».

Ci sono differenze anche tra genitori di oggi e quelli della precedente generazione?

Crespi: «Mentre i genitori di ieri conoscevano il contesto a cui sarebbero stati esposti i loro figli, a quelli di oggi manca il dato esperienzale derivante dall’essere stati adolescenti ai tempi di Facebook. La rapida diffusione dei social non ha permesso ai genitori di costruire un sistema di regole che consenta loro di esercitare una funzione normativa e regolativa, che sia di guida ed esempio per i loro figli».

Come può un ‘gioco’ come il Blue Whale manipolare adolescenti spingendoli al suicidio?

Bianconi: «Nel gioco della Blue Whale il ritmo sonno veglia dei ragazzi è alterato, li si induce a un isolamento sociale che, aggiunto a questa alterazione del ritmo sonno veglia, concorre a una deflessione del tono dell’umore. Inoltre l’istigazione a pratiche di autolesionismo induce gli adolescenti a un’assuefazione al dolore. I ragazzi, sempre più ritirati in una realtà parallela, si affiliano a essa, tanto da fare di questa affiliazione il collante di un senso identitario che trovano nell’affiliazione stessa. È questo legame tra affiliazione e senso identitario a spingerli ad aderire al gioco, fino alla sua prova finale, ossia il suicidio».

La tecnologia sta diventando dannosa per i giovani?

Bianconi: «Credo che il rischio oggi sia che i giovani in qualche modo si ritirino nella tecnologia e fatichino a distinguere quello che è reale da quello che è virtuale, perdendosi la genuinità della relazione. Capita a esempio che lo scambiarsi dei like su Facebook o il seguire/essere seguiti su Instagram sia equiparato all’essere in relazione, anche affettiva, o che il postare un racconto della propria quotidianità sia talmente pervasivo da portare i giovani a uscire insieme, ma ognuno al proprio smartphone. Questa pervasività può danneggiare la capacità di relazionarsi in una realtà che non sia quella virtuale».

Come comprendere se i figli stanno vivendo un malessere?

Bianconi: «Una conflittualità con i genitori, un eccesso o un rifiuto del cibo, un cambiamento importante di peso, difficoltà scolastiche, isolamento sociale, uso di sostanze, condotte autolesive possono essere segnali che i nostri figli stanno vivendo un malessere. La raccomandazione è quella di osservare i nostri figli, di parlare con loro, di cercare un confronto e chiedergli come stanno. Legittimiamo laddove ci siano le loro difficoltà, poniamoci in una posizione di ascolto empatico, e proviamo ad accompagnarli in quel percorso di costruzione identitaria e acquisizione di autonomia che è l’adolescenza»

Emanuela Conte

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