UNICEF. Negare istruzione è minaccia per futuro di bambini e società

NEW YORK – Pubblicato oggi il rapporto annuale “Le condizioni dell’infanzia nel mondo del 2016” dell’UNICEF. Preoccupanti i dati emersi: i bambini, principalmente nell’area Subsahariana e nell’Asia meridionale, sono colpiti in maniera asimmetrica e sproporzionata da conflitti violenti, emergenze umanitarie, crisi sanitarie e calamità naturali. L’urgenza e la soluzione, rappresentate dall’istruzione, sono messe in luce nel rapporto annuale dell’UNICEF.

Il dato più allarmante denunciato dalla ONG restano le morti precoci annunciate per 69 milioni di bambini nel mondo, sotto i 5 anni, entro il 2030 per cause prevedibili e soprattutto evitabili se solo i leader politici provassero a ricucire quella estrema disuguaglianza globale che ne è la causa principe. L’Angola il Paese più colpito, dove a partire dal 2015 i bambini sotto i 5 anni che muoiono ogni anno sono 157 su 1000; seguono il Chad, con 139 decessi infantili su 1000 bambini; e la Somalia, con 137. Infatti le aree più colpite dal fenomeno sono l’Asia meridionale e l’Africa Subsahariana, dove i bambini nati da madri senza istruzione hanno una possibilità di morire prima dei 5 anni che è quasi 3 volte superiore a quella dei bambini nati da madri con istruzione secondaria.

Sulla soglia dell’anno 2030 si potrebbero contare 167 milioni di bambini segnati da condizioni di estrema povertà; 750 milioni di spose bambine; 60 milioni di bambini in età da scuola primaria esclusi da opportunità di istruzione e formazione. “Negare a centinaia di milioni di bambini una possibilità nella vita non si limita a minacciare il loro futuro. Si alimentano in questo modo cicli intergenerazionali di svantaggio che mettono in pericolo il futuro delle loro società. Abbiamo una scelta: investire su questi bambini ora, o lasciare che il nostro mondo diventi ancora più diviso e diseguale ”, ha dichiarato Anthony Lake, direttore esecutivo dell’UNICEF. Pare infatti che in media ogni anno di istruzione in più per un bambino significherebbe per lo stesso circa il 10% di guadagni in più da adulto; mentre per ogni anno di istruzione completato il tasso di povertà dell’intero Paese diminuirebbe in media del 9%. Senza contare che fornire assistenza, senza lasciare che si costruisca e si sviluppi una propria personale e autonoma competenza di fronteggiare i problemi, non fa che rendere gli uomini ancor più assistiti. Proviamo a pensare agli interessi di pochi nel protrarre la dipendenza di queste fasce di popolazione mondiale: dipendenza, debito pubblico, che non fanno che invischiare questi Paesi, già nella storia sfruttati e martoriati, in rapporti di sempre crescenti subordinazione, soggezione e vincoli nei confronti dei potenti.

Camilla Esposito

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