Il DNA resiste ai viaggi spaziali, stiamo ‘contaminando’ i pianeti

ZURIGO – I ricercatori dell’università di Zurigo, equipe di scienziati coordinati da Cora Thiel e Oliver Ullrich, hanno pubblicato sulla rivista specializzata Plos One i risultati di una ricerca che conferma che il DNA è in grado di sopravvivere ai viaggi nello spazio e che potenzialmente, attraverso l’attività umana spaziale, potrebbe essere già in corso una contaminazione dei territori visitati da sonde, lander e rover terrestri.
I risultati della ricerca sono stati dimostrati attraverso un esperimento spaziale, in cui i ricercatori hanno ‘incollato’ piccole molecole con le ‘istruzioni’ per la vita alla superficie esterna di un razzo sonda: al suo rientro, dopo aver affrontato le condizioni estreme del lancio, del viaggio spaziale e del rientro in atmosfera, il 35% delle stesse sono state recuperate intatte e perfettamente funzionanti, in grado cioè di espletare tutte le funzioni biologiche, trasferendo le informazioni genetiche in cellule coltivate in laboratorio.

Il razzo utilizzato per l’esperimento era quello della missione Texus-49, lanciata nel marzo 2011 dall’ESA, Agenzia Spaziale Europea: sullo scudo esterno, che durante il volo subisce lo stress di oltre 1000 gradi di temperatura, sono sopravvissute le molecole di DNA che hanno lasciato esterrefatti gli scienziati: “Non ci saremmo mai aspettati di recuperare così tanto DNA ancora intatto e funzionante. Questa scoperta apre scenari affascinanti per la ricerca di forme di vita extraterrestre, ma insinua anche pesanti dubbi sulle missioni spaziali: le sonde, i lander e i rover potrebbero trasformarsi in ‘untori’ capaci di contaminare altri pianeti con DNA terrestre”. Non sia mai.

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