Psicologia. Risolvere conflitti sociali con il Teatro dell’Oppresso

COSENZA – Sarà a titolo gratuito e si svolgerà a Cosenza, in data 16 settembre, il prossimo laboratorio di partecipazione attiva del terapeuta Francesco Tedesco, in arte Ciccio Tedesco, operatore-formatore di Teatro dell’Oppresso dal 1997 e promotore di questo tipo di teatroterapia nel meridione italiano.

“Testa, cuore, pancia”, questo il tema del laboratorio, durante il quale i partecipanti saranno chiamati a interagire tra loro e con l’ambiente circostante, al fine di “demeccanizzare” i propri processi cognitivi ed espressivi attraverso due delle tecniche più note di teatro dell’oppresso: il Teatro immagine, nel quale i partecipanti sono chiamati a costruire immagini con i loro corpi, al fine di comprendere attraverso linguaggi non verbali come essi percepiscano una realtà; e il Teatro-Forum, ovvero la messa in scena di una situazione dal fondo discriminatorio o psicologicamente oppressivo davanti a un pubblico che interagisce con essa.

Questa tipologia di atto teatrale, messa a punto da Augusto Pinto Boal negli anni ’60, si diffuse come strumento artistico di liberazione dall’ormai interiorizzato regime dittatoriale brasiliano, in un contesto in cui appariva fondamentale ideare un’azione che fosse svincolata dall’ostacolo dell’analfabetizzazione.
All’originario Centro do Teatro do Oprimido di Rio de Janeiro, con il passare degli anni si sono affiancati centri di intervento in molte realtà europee, seppur con una necessaria messa a punto negli obiettivi, libera da intenti politici: argomenti molto frequenti nelle esperienze di questo genere diventano perciò i problemi sociali collettivi.

Formatosi dove il metodo è nato, il Dottor Tedesco ha avuto modo di immergersi nella realtà dei meninos de rua brasiliani e delle favelas degli anni ’90 e questo lo ha spinto poi, tornato in Italia, a lavorare con ragazzi con trascorsi problematici, con i quali portava in strada gli strumenti di intervento appresi. A fare da perno nel suo lavoro sono tematiche quali l’incapacità di comunicazione efficace, la discriminazione di genere, le differenze etniche come fonte di tensione sociale o la messa in scena di situazioni socialmente inaccettabili quali l’abuso di alcool o di sostanze stupefacenti.

Come ben esplicitato dalle parole di Augusto Pinto Boal, con il quale il terapeuta ha avuto modo di lavorare, l’obiettivo dell’esperienza è rendere il teatro non solo “rappresentazione del reale, ma anche “intensificazione dell’esistenza”. Ogni pensiero, secondo Boal, ha la sua espressione in una risposta corporea ed è quindi fondamentale in questo tipo di teatro riuscire a dominare i sensi, dissociando il più possibile il pensiero dal corpo in un allenamento mentale, volto a stimolare maggiormente le percezioni sensoriali, al punto da riuscire quasi a “sentire tutto ciò che si tocca, vedere tutto ciò che si guarda, sentire tutto ciò che si ode”, dissociando la mente dal corpo e quindi esercitando un controllo celebrale su ogni impulso.

I giochi-esercizi che in una qualsiasi altra forma di preparazione teatrale sono un riscaldamento psicomotorio, diventano in questo caso i capisaldi dell’esperienza. In quest’ottica il teatro diventa terapeutico, perché aiuto nell’esplorazione di sé, dei rapporti interpersonali e delle strategie che possano portare alla risoluzione di conflitti sociali.

Un’esperienza come il Teatro-Forum nel quale lo spazio scenico, riservato agli attori nelle rappresentazioni canoniche, è invaso dal pubblico che diventa co-protagonista di una sperimentazione corporea, significa permettere a coloro che prendano parte all’esperienza di mettersi in gioco in uno spazio protetto e riflettere sui meccanismi sociali messi in atto e da mettere in atto in situazioni quotidiane. “L’uomo, secondo Boal, non fa teatro, ma è teatro”: in nome di questa visione, le tecniche teatrali non sono che una cornice nella quale l’operatore fa muovere i partecipanti e coloro che si trovino a interagire con questo palcoscenico en plein air.

Attraverso un approccio basato su situazioni che stimolino all’avvicinamento a forme espressive nuove, il conduttore indirizza verso soluzioni comunicative che siano anche risoluzione di conflitti: la situazione di disagio o di oppressione sulla quale si è deciso di focalizzarsi è presentata solo una volta ed è l’incipit di una messa in scena volta a stimolare la ricerca di una soluzione. A turno i membri del pubblico vengono chiamati a sostituirsi al protagonista originario e quindi a immedesimarsi con ‘l’oppresso’ al fine di aprire finestre di dialogo su argomenti in cui ci sia, nella vita quotidiana, un depotenziamento di una figura per motivi etnici, sociali, politici o sessuali.

Ogni soluzione proposta viene portata sulla scena per spronare i partecipanti e gli osservatori a un percorso di coscientizzazione e di risoluzione positiva. Rendere il pubblico parte integrante dell’operazione significa riuscire a rendere il teatro non terapia, ma strumento di trasformazione della realtà sociale.

By Zaira Magro

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