Musica. Viboras: ”Suonare è libertà di essere se stessi!”

MILANO – Una nuova stagione musicale è iniziata per le band punk e rock italiane, ricca di tour e debutti. Numerosi sono i gruppi che si contendono il clamore dei fan e che si fanno strada tra la spietata competizione del mondo della musica e delle case discografiche. Tuttavia, nonostante le difficoltà vi è ancora chi continua a riscuotere un gran successo: i Viboras, band attiva dal 2005, che ha avuto una forte risonanza nel 2009, quando la voce del gruppo, Irene Viboras, ha inciso e cantato un brano col ben noto J-Ax. Da allora la band si è sempre distinta per l’inconfondibile grinta e l’inarrestabile voglia di far musica, approdando oggi tra i primi posti delle più famose classifiche delle band italiane quotate all’estero. Abbiamo a tal proposito intervistato i componenti della Band: Sal, Giò e Irene.

Nel vostro genere musicale avete fatto la differenza. Cosa si prova a essere un Viboras?

Sal: «Domanda strana, non saprei cosa rispondere esattamente. Direi che ci si sente come, credo, tutte quelle persone che hanno la possibilità di esprimere il proprio impeto, sia pure nel lasso di tempo di una canzone. Innegabile che ci si senta anche molto fighi.»

Irene: «Suonare è libertà di essere te stesso veramente, se poi sei apprezzato è come se il tuo messaggio personale si espandesse arrivando alla gente senza doverlo imporre.»

Giò: «Essere una Vipera è come far parte di una band. Dimenticavo siamo già una band, niente di meglio!»

Dal debutto del 2005, con il vostro primo disco Wrong, quanto è cambiato il panorama punk-rock italiano?

Giò: «Sono cambiati gli interessi di molti che producevano, molti locali sono chiusi e il volume di bands è diminuito. Va detto che tutto ciò capita solo in Italia. Siamo stati in Germania di recente e lì le cose non si muovono dagli anni ’90, ovviamente in senso positivo. Ci sono ancora le distro, i banchetti e le fanzine. Probabilmente noi italiani ci confermiamo come ‘bandierine al vento’. Il lato positivo di tutto ciò è che chi si impegna, complice un revival dell’underground italico, otterrà molto a breve. C’è molto fermento ma è presto per parlarne.»

Nel 2009 Irene ha inciso un pezzo con J-Ax; nel 2012, in occasione del tour italiano dei Toy Dolls, Al vostro debutto a Milano avete riscosso un gran successo. Cos’altro vi aspetta in futuro?

Sal: «Abbiamo molti pezzi nuovi e tanta voglia di suonare, vogliamo registrare seguendo completamente tutto il prodotto dal primo secondo all’ultima scheggia. I progetti sono molti, ma per il momento ce li teniamo nascosti, l’unica cosa che posso dirti è che lavoreremo molto fuori, con l’intento però di conquistare sempre più gente, prima di tutto in Italia.»

Irene: «I tempi sono buoni per una sferzata di energia.»

Cosa vi distingue dalle altre band?

Giò: «La cantante. Scherzo, credo nulla. Ci sono molte ottime band in giro, probabilmente la differenza non c’è. Forse se sei tutti i giorni un musicista h24 si vede, mangi e canti, hai due secondi e strimpelli, suoni un campanello e ci senti una melodia, suoni e pensi al presente e non alla pressa del futuro, tutto ciò fa la differenza forse.»

Sal: «La musica è importantissima, i testi lo sono di più, l’attitudine lo è ancora di più, la passione è tutto. Ma non prendiamoci troppo sul serio.»

Irene: «Io urlo a squarcia gola senza fermarmi mai, fino a stramazzare in terra. Fa la differenza?»

Avete fan in tutta Europa. Che effetto fa varcare i confini nazionali?

Irene: «La cosa più bella è perdere l’italianismo che ci fa dire dagli stranieri pizza, mandolino e stupidaggini varie e recuperare l’italianità che ci contraddistingue. Suonatori, avventurieri, poeti, spara cavolate e dispensatori di energia. Ovviamente quando superi questa ‘barriera’ la sensazione è indescrivibile.»

Sal: «A me imbarazza sempre. Sentire commenti positivi, a volte non ci hanno fatto scendere dal palco, è fantastico ma io non mi abituo mai. Figurati se arrivano da altri paesi.»

Giò: «I Viboras sono tipi modesti, quando ci hanno contattato i canadesi e i giapponesi siamo caduti con la faccia per terra!».

Chris Barlati

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