Gerusalemme. In libreria la tutela della cultura palestinese

GERUSALEMME – Tra caffetterie, negozi di alimentari, gioielli e cambio valuta, in Salah Eddin Street, a Gerusalemme, è comparso il Bookshop Educational, che identifica due librerie su due lati opposti della strada. Entrambi i negozi appartengono alla famiglia Muna, ma uno è destinato alla vendita di libri arabi, l’altro alla vendita di libri inglesi. Ad Al Jazeera, Mahmoud Muna ha raccontato che il padre nel 1984 dovette cambiare il nome della libreria, estromettendo dal titolo la parola “Palestina”, poiché illegale, per questo motivo divenne “The Bookshop Educational”.

Negli anni seguenti gli accordi di Oslo del 1993, tra il primo ministro israeliano e il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, lo scetticismo crebbe e la gente smise di fidarsi di ciò che molti scrittori palestinesi nazionalisti sostenevano, in particolare che ci fosse una luce infondo al tunnel, che lasciava intravedere la libertà attraverso la pace. Il proprietario della libreria ha raccontato che il momento “post-Oslo” è quello in cui Gerusalemme ha accolto l’enorme flusso di ONG internazionali, lavoratori, giornalisti e diplomatici, tutte persone che volevano capire qualcosa di ciò che stava accadendo in Palestina e in Medio Oriente attraverso i libri di lingua inglese. Da qui l’idea di destinare un spazio apposito alla letteratura in inglese, visto che gli unici libri inglesi erano nelle librerie israeliane, dunque esclusivamente titoli scelti a sostegno del punto di vista israeliano. Ovviamente questo ha incontrato delle obiezioni tra la popolazione, visto che i libri, soprattutto quelli in lingua inglese, provengono da Stati Uniti, Regno Unito, India, Spagna, Francia, Germania, Giordania e devono passare prima per i controlli di Israele. Ed è soprattutto contro libri come “La Pulizia Etnica della Palestina”, di Ilan Pappè; o i testi di Jeff Halper, che se la prendono le autorità israeliane, tardando di settimane la loro consegna alla libreria dei Muna, per fortuna senza poterli confiscare dal momento che non esiste una legge che legittima la censura di libri inglesi.

Ma è proprio questo il senso della Bookshop Educational: va immaginata come luogo di resistenza culturale, di rafforzamento della cultura e dell’identità palestinese, della sua conservazione. L’idea è che i palestinesi, spogliati dei loro diritti, della loro rappresentanza politica, della libertà, conservino almeno la loro cultura e la loro identità, impugnandole come armi non-violente, come testimone da passare alle nuove generazioni. “Questo non è un conflitto israelo-palestinese, era ed è un conflitto arabo-israeliano”, ha detto infine il proprietario della libreria Mahmoud Muna.

Camilla Esposito

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