Caos Libia. Obama accusa Francia e Gran Bretagna

WASHINGTON – Il presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, giovedì 10 marzo ha accusato il premier britannico David Cameron e l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy del fallimento delle operazione militari in Libia nel 2011, contro Gheddafi. Il Presidente USA sostiene che il Paese nordafricano sia nel caos e definisce “un errore il suo appoggio all’intervento della Nato, pensando erroneamente che Londra e Parigi si sarebbero presi una loro parte di responsabilità nella gestione post militare”. Tuttavia, secondo Obama, mentre Cameron fu distratto da altre questioni, Sarkozy volle sventolare la sua partecipazione alla campagna aerea nonostante tutte le difese libiche fossero già state spazzate via. Il presidente americano ritiene infatti che gli USA abbiano eseguito quel piano militare “al meglio”, ottenendo un mandato dall’ONU, costruendo una coalizione e soprattutto coordinando le azioni militari in modo da evitare vittime civili su larga scala, lasciando però erroneamente gli Stati europei a guidare l’azione in prima linea.

Nonostante ciò la Libia è un caos, ha sostenuto Obama in un’intervista a un magazine americano, ammettendo che il piano di intervento suggerito dal suo entourage, compresa Hillary Clinton, attualmente candidata alle presidenziali, non ha funzionato. Questo anche perché il grado di divisione tribale della Libia era ben oltre quello che gli analisti si sarebbero mai potuti aspettare e tutte le strutture di aiuto militare e di risorse in loco vennero tutte a mancare.

La decisione di entrare in guerra fu presa per evitare un collasso totale del sistema Libia e una guerra civile. Gli USA, a causa di questa invasione, pagarono con l’attacco alla loro ambasciata a Bengasi, in cui rimasero uccisi quattro americani. Inoltre, ha sostenuto il presidente statunitense, la colpa è stata quella di aver pensato che gli europei, vista la loro vicinanza alla Libia, avrebbero investito sull’assistenza alla popolazione nordafricana. Ma così non è stato.

By Edoardo Vacca

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