Dipendenza affettiva. Antonella Amodio ospite della “Casa dei Diritti”

PICERNO – La prima settimana di Agosto è stata accolta, alla “Casa dei Diritti di Picerno Città Sociale”, con un calendario di appuntamenti serali dedicati al tema della prevenzione e della sensibilizzazione alle dipendenze, promosso dall’Associazione Insieme Onlus, con il patrocinio del comune di Picerno, cittadina in provincia di Potenza.
Protagonista della seconda delle serate, è stata la Dott.ssa Antonella Amodio, psicoterapeuta e autrice del romanzo “Lo Zoo al piano di sopra”, edito da Serarcangeli. A lei il compito di parlare di DIPENDENZA AFFETTIVA.

L’incontro, “con un capitano che guidi, ma senza il distacco tipico di una lezione frontale”, aveva l’obiettivo di instaurare una comunicazione circolare e paritaria tra i presenti: proprio dall’idea di cerchio, la Dott.ssa Amodio ha tratto spunto per introdurre il concetto di reciprocità, come rispetto dell’altro come essere umano, intesa in un’ottica che non leda la gratuità e la spontaneità di un gesto.

La dipendenza affettiva, identificata come patologia solo di recente “dopo secoli in cui l’amore e lo strazio erano visti come imprescindibili”, ha le sue radici in una ferita della persona nella sua percezione di sé, avvalorata da un sistematico processo di penalizzazione di quest’ultima da parte dell’altro.
L’instaurarsi di una COMUNICAZIONE AMBIVALENTE in una coppia, porta a un’isterizzazione del soggetto, spesso una donna in virtù del background storico delle nostre società, il quale smette di credere agli stimoli oggettivi che riceve dal circostante, in virtù di quella che viene fornita come interpretazione del reale.
Nel suo percorso di vita e di relazione con ciò che lo circonda, egli non si sente più amabile in quanto individuo, ma solo in quanto oggetto dell’amore dell’altro: non si hanno più occhi per leggere il reale, perché giudici del reale non sono più i proprio occhi.
Questa «comunicazione diabolica», seguita da un PROCESSO DI SOTTRAZIONE che prevede l’improvviso venir meno della persona di cui l’altro è ormai dipendente, porta a una chiusura ancor più netta dei confini della persona nei confini circoscritti dalla relazione.

La società in cui viviamo, ci ricorda la Dott.ssa, persegue il concetto di efficienza e di efficacia, e questo porta a una crescente fobia di essere sostituti. La dipendenza affettiva non è più amore, ma BISOGNO DEL BISOGNO DELL’ALTRO: sentire di essere al centro di un fascio di attenzioni costanti e perenni, porta alla sicurezza di essere insostituibili.

Durante la serata abbiamo rivolto le nostre domande alla Dott.ssa Amodio.

Come ci si emancipa da una dipendenza affettiva?

«La dipendenza affettiva, così come ogni dipendenza, parte in primis da un eccessivo affidare se stessi ad altro o in questo caso ad altri. Non esiste ovviamente un metodo per uscirne, ma l’obiettivo è amarsi, centrare di nuovo su di sé l’attenzione e capire che siamo esseri amabili per ciò che già siamo e non per come siamo agli occhi di qualcuno.»

Può un rapporto genitore-figlio diventare dipendenza affettiva?

«Assolutamente sì. Definirei “mamma porto sicuro” la madre il cui bambino sa che può esplorare il mondo, interagire con le persone che non gli siano familiari e quindi allontanarsi dalla mamma, senza sentirsene abbandonato. Purtroppo a volte questo rapporto sano non viene a crearsi e molte madri non comprendono perché, nonostante i loro sforzi. Nessuna madre vuole un rapporto malsano con il proprio figlio, ma spesso, anche nella vita di tutti i giorni, non ci accorgiamo di piccoli errori che alla lunga portano a una dipendenza affettiva: un bambino che piange quando vede andar via la mamma è più che normale. Una mamma che esce di casa in modo furtivo, mentre il bambino è distratto o viene distratto, rivela la sua insicurezza nel gestire il pianto del figlio, ma provoca nel bambino un’insicurezza che lo porta alla disperazione e alla perdita di fiducia. E’ importante, in questo caso, parlare col bambino, spiegare»

La dipendenza affettiva ha come fulcro una scarsa autostima. Chi ne ha le colpe?

«Non credo, in primis, che si debba parlare di colpe. In psicologia, come in qualsiasi altra scienza, si preferisce parlare di cause: qualcosa non cade per colpa della legge di gravità, ma a causa della legge di gravità. Di certo, l’autostima è qualcosa che ci costruiamo giorno dopo giorno, ma proprio per questo non si può davvero trovare un’origine, ma neanche ci si può definire eternamente condannati a una scarsa autostima solo perché non la si ha avuta per molto tempo: se non credessi in questo, non farei la psicoterapeuta. Il concetto che abbiamo di autostima ci arriva sicuramente dall’esterno, ma va da sè che non si può mai parlare con oggettività di un fenomeno che abbia formato o meno un tratto della psiche di una persona: ciò che ci forma è comunque il prodotto di una nostra risposta a uno stimolo, di un nostro modo di leggere uno stimolo. Così come un re ha bisogno dei sudditi per sentirsi legittimato, così io ho bisogno di te per sentire che ho potere, per sentire che non sarò abbandonato».

By Zaira Magro

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