Seminario “La classe difficile é una risorsa”. Pareri a confronto

FRATTAMAGGIORE – Nei giorni 27 e 28 ottobre l’lS Filangieri e l’IS Niglio di Frattamaggiore, in provincia di Napoli, nelle sale dell’auditorium ospiteranno il Seminario “La classe difficile è una risorsa “, sull’ Analisi Comportamentale Applicata in classe rivolta a docenti e personale ATA. Il seminario punta a fornire strumenti educativi per gestire classi difficili in presenza di Bisogni Educativi Specifici. Nel corso del programma, alle ore 10:15 circa, interverrà al dibattito, dal punto di vista della famiglie, Gennaro Pezzurro, Presidente dell’Associazione @uxilia Campania, che si occupa principalmente di disabilità infantile attraverso l’attuazione della CONVENZIONE ONU PER LE PERSONE DISABILI. A lui abbiamo rivolto le nostre domande.

Prendendo spunto dal seminario, perché la classe difficile è una risorsa?

«La ‘classe difficile’ è quella che annovera tra gli iscritti bambini o ragazzi con Bisogni Educativi Speciali per vari motivi: dislessia, discalculia, iperattività, difficoltà cognitive, autismo, e altro ancora.
La stimolazione proveniente dalla difficile gestione di una classe così articolata pone al docente e alla scuola un serio problema di ammodernamento della strategia didattica, che non può essere più induttiva e/o nozionistica, ma deve diventare uno stimolo all’autoapprendimento in situazione e insegnare a includere e ad armonizzare le diversità cognitive.
Inoltre, la classe difficile obbliga a sperimentare nuove strategie, altrimenti i docenti, come spesso capita, sperimentano sulla loro pelle il fallimento formativo e quindi la frustrazione professionale»

Quali sono gli obiettivi del seminario sull’Analisi Comportamentale Applicata?

«Il fatto che il consiglio di classe deve ragionare su diversi stili di apprendimento e che in qualche modo si vede obbligato a interagire con terapisti socio-sanitari, offre la possibilità al consiglio stesso di mutuare tecniche formative che una volta erano lontane dal mondo della scuola, come a esempio l’analisi comportamentale applicata che, usata normalmente per bambini con disabilità in strutture sanitarie, risulta perfettamente utile a costruire percorsi pedagogici per qualsiasi bambino o adolescente.
La nuova didattica deve includere contenuti orientati alle esperienze, alle tematiche e ai problemi dell’ambiente immediatamente vicino all’alunno, aprirsi alle forme di insegnamento aperto, al lavoro per progettazione settimanale, al lavoro con gli esperti, al lavoro orientato ai materiali, al circuito di apprendimento al training per tappe o stazioni, ai progetti. Si deve tener conto dell’eterogeneità degli alunni. La proposta di attività si orienta quindi al problem solving, all’autonomia dell’apprendente, all’autoriflessione e alla cooperazione»

Il punto in Campania sull’inclusione scolastica?

«In Campania, sulla carta, siamo a un buon punto sulle politiche di inclusione, abbiamo i Centri territoriali di Supporto, le norme, i Piani di Zona. Peccato che dal punto di vista pratico l’inerzia della macchina burocratica si fa sentire e parecchio. Diciamo che la normativa attuale è anche sovrabbondante, ma paghiamo lo scotto di una macchinosità eccessiva dei centri decisionali, manca un meccanismo snello di coordinamento interistituzionale, e i bisogni dei bambini e degli adolescenti con bisogni educativi speciali non possono aspettare. I GLIP hanno fallito. Vanno ripensati con poteri diversi e il coinvolgimento massiccio delle famiglie.
Le istituzioni sembrano subire la normativa sull’inclusione, non c’è una reale spinta emotiva a risolvere fattivamente i problemi. Alle esigenze delle famiglie vengono sempre contrapposte responsabilità amministrative, burocratiche e penali. Ripeto, l’impressione è che manchino le persone con la giusta sensibilità nei punti chiave delle istituzioni, compresi i GLIP, gruppi di lavoro interistituzionali provinciali, i servizi sociali, le commissioni INPS, e altre sedi.»

La riforma scolastica ha favorito o ostacolato chi si occupa di BES?

«Aspetterei a giudicare. Come sempre sulla carta tutto dovrebbe essere meglio, ma bisogna capire in termini di Policy reale come tutto quanto verrà tradotto in azioni concrete. Per la politica dell’inclusione, la Legge 107/15, cosiddetta Buona Scuola, ha lasciato parecchie deleghe al Governo. Quella che riguarda più da vicino il tema del convegno è scritta nel comma 181. In questi giorni il MIUR, sindacati e associazioni stanno avendo una fitta agenda di incontri proprio sul comma 181 per definire il ruolo del sostegno. Dalle intenzioni del Governo trapela la volontà di rendere perfettamente misurabili le performance afferenti la didattica, in particolar modo quella dedicata agli allievi con BES e/o con disabilità, e nel contempo incrementare fortemente le risorse destinate alla formazione e l’aggiornamento del personale ATA e docente in servizio proprio sui temi dell’Inclusione. Il docente di sostegno diverrebbe un docente mentor della inclusione e non una persona APPICCICATA ADDOSSO AL RAGAZZO, quando va bene, se non un ACCOMPAGNATORE NELLA CORRIDOIOTERAPIA come capita in alcuni casi. C’è anche l’intenzione di rafforzare la cooperazione famiglie – scuole – servizi sociosanitari. Insomma, se venisse attuata concretamente, questa riforma non potrebbe che far bene alla scuola e agli allievi con BES e non; forse farebbe meno bene a chi pensa che il posto di ruolo nella scuola sia solo una buona e comoda rendita.»

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