Tortura. In Messico, come in Italia, la campagna Amnesty

ROMA – Amnesty International ha pubblicato un rapporto drammatico sul fenomeno della tortura in Messico. Due anni fa ha lanciato la campagna globale “Stop alla Tortura”, al fine di raggiungere obiettivi specifici contro un fenomeno che si protrae da tempo e che vede trattamenti disumani da parte delle forze di sicurezza nei confronti dei detenuti: minacce di morte, percosse, scariche elettriche, stupro.

Non è un problema solo messicano, anche l’Italia è indietro rispetto al resto del mondo: proprio in questi giorni si è ricordato Carlo Giuliani, vittima 15 anni fa delle forze dell’ordine al G8 di Genova, dove nelle caserme vi furono gravi violazioni dei diritti umani. Ma oggi prendiamo in considerazione il report che ha evidenziato la mancanza di diritti umani nel sistema giudiziario messicano, e per saperne di più abbiamo rivolto le nostre domande a Lisa Maracani, direttrice ufficio campagne Amnesty International Italia.

Manca la giustizia nel sistema giudiziario messicano?

«Il sistema di giustizia penale messicano è un sistema con numerosi problemi. Nonostante alcune riforme del 2008, che dovrebbero essere progressivamente introdotte, questo paese a struttura federale è un sistema che spesso non sta dalla parte delle persone più vulnerabili o semplicemente considerate “non importanti”. Da tanti anni Amnesty International documenta sia la mancanza di indagini effettive su casi di persone comuni, che l’accanimento legale contro persone che protestano in modo pacifico. In troppi casi abbiamo visto persone sottoposte a processi iniqui, con l’utilizzo di prove false, anche confessioni estorte con la tortura, che hanno spesso portato all’impunità.»

Perché coinvolgere innocenti e non fare la guerra contro il crimine?

«In Messico, come in tanti altri paesi, il crimine organizzato costituisce una parte importante dell’economia. Dal 2006 la strategia dichiarata dal governo, che è stata quella della “guerra al narcotraffico”, non ha arginato la criminalità né le morti e le sparizioni. Anzi, ha causato nuove vittime. Nella necessità di dimostrare risultati concreti, le forze di sicurezza hanno finito per arrestare e torturare persone comuni per costringerle a confessare crimini che non hanno commesso o arrestare solo persone ai margini della società o “pesci piccolissimi” del crimine, quindi ‘spendibili’.»

In percentuale quante donne torturate hanno avuto giustizia?

«L’uso della tortura in Messico è endemico e viene investigato e punito molto raramente. Secondo l’Istituto di statistica nazionale, nel solo 2013 sono state presentate oltre 12.000 denunce di tortura. Non si sa però quante di queste denunce siano state investigate. L’unico dato che si conosce è che delle migliaia di denunce presentate dal 1991 a oggi si è arrivati solo a 15 condanne a livello federale. Questo è un dato statistico che fa pensare.»

Come procede la campagna lanciata da Amnesty?

«Nonostante il tema della tortura tocchi tantissimi paesi, abbiamo deciso di focalizzarci solo su alcuni, in modo da concentrare le nostre risorse per raggiungere obiettivi specifici in questi paesi. Nel caso del Messico ci sono stati importanti passi in avanti, sia sui casi individuali che sul piano delle procedure e della legislazione. Il parlamento messicano sta lavorando all’approvazione di una legge federale contro la tortura. Ci sono buone possibilità che venga approvata a settembre, battendo quindi l’Italia che non ha ancora introdotto nel suo codice penale il reato di tortura.»

Le donne torturate che sono sopravvissute hanno ripreso a vivere normalmente?

«Molte delle donne intervistate da Amnesty International sono tuttora in carcere. Oltre alla violenza subita e ai processi iniqui, non hanno potuto ricevere una difesa effettiva e sono tutt’oggi separate dai loro cari, quindi il loro percorso di gestione del trauma non è ancora potuto cominciare. Ma è certamente possibile tornare a vivere dopo un’esperienza simile. Abbiamo lavorato con persone torturate che hanno una determinazione e una forza interiore straordinarie. Alcune di loro sono diventate difensori dei diritti umani e continuano a denunciare casi simili ai loro. Ma anche nel migliore dei casi, la visione del mondo di una persona torturata difficilmente sarà come prima. E’ assolutamente necessario mettere in atto delle procedure e delle leggi che prevengano l’uso della tortura.»

By Claudia De Marino

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