Siria. Report dall’incontro con l’attivista Bahar Kimyongür

NAPOLI – Mercoledì 24 maggio alle ore 18:00, presso la GalleRi Art, lo spazio autogestito da artisti, operatori culturali, artigiani e attivisti sociali, situato all’interno della Galleria Principe di Napoli, si è tenuto un incontro con l’analista internazionale, nonché attivista, scrittore e giornalista belga Bahar Kimyongür, tradotto dal francese dall’attivista Gianfranco Castellotti, per discutere delle attuali condizioni in cui versa la Siria e dell’esperienza da lui vissuta in Turchia, dove ha avuto modo di documentare il continuo transito di combattenti stranieri dello Stato islamico sul confine turco-siriano.

All’evento erano presenti anche Francesco Santojanni, del Comitato contro le Sanzioni alla Siria; Gianmarco Pisa, responsabile questioni internazionali di Rifondazione Comunista; e Roberto De Gregorio, segretario del partito dei CARC (Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo) Napoli Centro, che ha introdotto la discussione sul tema dell’imperialismo e sulle forme di sperimentazione popolare come strumento di resistenza.

Bahar Kimyongür è nato il 28 aprile 1974 a Berchem-Sainte-Agathe in Belgio, figlio di una famiglia di origini turco-siriane. Nel 2004 è stato accusato di terrorismo e arrestato per aver tradotto dal turco al francese un comunicato del DHKP-C, una formazione rivoluzionaria comunista inserita dal Consiglio dell’Unione Europea nella lista delle organizzazioni terroristiche, accuse dalle quali è stato assolto in Cassazione nel 2009. Nonostante ciò, a causa di un mandato di estradizione da parte della Turchia, è stato nuovamente arrestato e successivamente rilasciato prima dai Paesi Bassi nel 2006; poi in Spagna nel Giugno 2013, rilasciato su cauzione; e in Italia nel novembre dello stesso anno, per essere poi rilasciato dopo ben 111 giorni di detenzione.

All’affare DHKP-C e alla storia di Kimyongür è stato dedicato il documentario Résister n’est pas un crime di Marie-France Collard, F.Bellali e J.Laffont, vincitore del Premio Speciale della Giuria al Festival Internazionale del Film sui Diritti dell’Uomo nel 2009 a Parigi e il documentario dell’emittente araba Al Jazeera Interpol: Red Alert! che mostra come l’Interpol sia utilizzata da alcuni Stati per rintracciare gli oppositori politici.

“Da quando ho affrontato nel 2011 la questione siriana ho perso molte amicizie, perché quando si affrontano determinate questioni bisogna scegliere da che parte stare.”, con queste parole ha esordito Bahar, continuando: “Da quando ho cominciato a occuparmi della questione siriana, mi sono trovato difronte a una censura continua da parte dei media. I giornalisti non volevano assolutamente riprendere le notizie che io fornivo, con la scusa di non voler essere strumentalizzati dal regime tirannico di Assad, ma questi stessi giornalisti non hanno avuto nessun esito nel fornire informazioni sul terreno jihadista e dei ribelli. Quando ci sono state le manifestazioni in Siria nel 2011, quelle delle opposizioni dove c’erano migliaia di persone, quelle si sono viste, ma quelle a favore di Assad, che raggruppavano milioni di persone, quelle non si sono viste. (…) Per capire com’è la situazione attuale in Siria, vi direi di andare nella regione del nord controllata dai cosiddetti ribelli ‘moderati’, con mille virgolette, dove la donna è stata cancellata dalla vita civile, non può neppure andare a scuola, e dove non ci sono più minoranze religiose perché l’unico modo per sopravvivere è essere sunniti. Andate e provate a vedere cosa significa vivere sotto il governo dei ribelli.”. Al riguardo, Kimyongür ha risposto alle nostre domande.

Per quale motivo molti i paesi occidentali hanno permesso il transito di ribelli da un paese all’altro?

«Bisogna distinguere due fasi di questo fenomeno. Ho parlato con alcuni poliziotti che mi dicevano che a partire erano teppistelli, e che tutto sommato era un bene. E non era solo la polizia ad avere questo atteggiamento, ma a dirlo erano anche alcuni giornalisti in televisione, che ignoravano le motivazioni culturali e religiose che spingevano questi giovani a partire. La situazione è cambiata solamente dopo l’attentato al Museo ebraico di Bruxelles, è da quel momento che il Belgio ha cominciato a comprenderne il pericolo.»

Al momento in Siria si combattono più conflitti. Qual è lo scenario futuro del Paese?

«Dovete sapere che la Siria ‘utile’, quella urbana e fertile, è stata già riconquistata, e cosa più importante è che Aleppo è stata liberata e Damasco messa al sicuro. Resta ancora da liberare il deserto, ricco di risorse minerarie, e gestire quindi le zone di confine, come al Nord, dove la Turchia cerca di allargare i propri confini. Il problema sarà come organizzare la convivenza dopo la guerra, perché ci saranno sempre opposizioni al governo, ma di certo non possiamo parlare di vittoria della Siria, perché in questa guerra tutti hanno perso.»

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