Riassegnazione di Genere. Intervista al sessuologo Claudio Cappotto

NAPOLI – Con la storica sentenza 15138 del 2015 emessa dalla Corte di Cassazione, ottenuta dalla Rete Lenford avvocatura per i diritti LGBTI, le persone transessuali potranno cambiare i propri dati anagrafici senza sottoporsi a un intervento chirurgico di riassegnazione del Genere e dei caratteri primari. Rete Lenford ha vinto il ricorso presentato per conto di una loro assistita, una persona transessuale di 45 anni che “ha raggiunto nel tempo un equilibrio psico-fisico e da 25 anni vive socialmente riconosciuta come donna”.

Per comprendere meglio cosa significhi attuare un percorso di transizione di Genere e al riguardo in che modo intervenga la sentenza della Cassazione, ci siamo rivolti al sessuologo psicoterapeuta Claudio Cappotto, assegnista di Ricerca in Psicologia Clinica presso il Centro di Ateneo SInAPSi dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, membro della World Association for Sexual Health e dell’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere.

Quanto è importante per una persona transessuale far coincidere dati anagrafici e identità di genere?

«Essere riconosciuti nel proprio sesso elettivo attraverso la rettificazione degli atti di stato civile delle persone transessuali rappresenta un passo importantissimo per il benessere delle persone transessuali. L’identità di genere di una persona è una dimensione molto importante della nostra identità sessuale che prescinde dai nostri caratteri sessuali primari e secondari; la sterilizzazione forzata, quando questa non corrisponde a un bisogno profondo della persona, è di per sé una violenza psicologica pervasiva. L’intervento di adeguamento degli organi riproduttivi non può e non dovrebbe essere obbligatorio per le persone transessuali; appare evidente come lo status civile, i diritti personali, non devono dipendere esclusivamente dalla chirurgia sessuale e dal discorso endocrinologico.»

Che novità dunque con questa sentenza?

«Tante persone transessuali e transgender vivono nella loro quotidianità il loro sesso elettivo, cercando di essere se stesse nei loro spazi di vita, ma incontrano delle grosse difficoltà quando vengono richieste loro dei documenti di riconoscimento o di indicare i loro dati anagrafici. Pensate cosa possa significare da un punto di vista emotivo per una ragazza o un ragazzo transessuale sostenere un esame universitario, spesso ansiogeno di per sé, con un docente che durante l’appello utilizza il nome anagrafico della o dello studente, mostrare costantemente negli uffici pubblici come in una agenzia interinale un documento che riporta una fotografia e un nome non congruenti a quello che si è. Molte persone a causa di questa ‘impossibilità’ subiscono umiliazioni e forme di vittimizzazione con disagi e sofferenze psichiche profonde.»

Il percorso di transizione è uguale per tutte le persone transessuali?

«Il percorso di riattribuzione del nuovo status sessuale, biologico e anagrafico, è scomponibile in due momenti principali: l’adeguamento medico-chirurgico al sesso elettivo e la sua rettifica anagrafica, che in Italia passa ancora attraverso la patologizzazione del soggetto: diagnosi di disforia di genere. Da diverso tempo una parte della comunità scientifica sta cercando di portare avanti dei percorsi di depatologizzazione, cercando di trovare un equilibrio tra i problemi legati allo stigma e l’accesso alle cure. In generale possiamo affermare che esistono diversi e diversificati percorsi di transizione che possono dipendere anche e soprattutto dai servizi presenti nella territorialità dove la persona ha deciso di intraprendere l’iter di transizione. I percorsi poi differiscono anche per istanze più legate a dimensioni soggettive e personologiche della persona, esistono infatti davvero tante possibilità di viversi una varianza di genere. Bisogna ricordare anche le molte forme di discriminazioni alle quali le persone trans sono sottoposte, che incidono in moti casi sulle modalità attraverso le quali le persone trans intraprendono un percorso di adeguamento: le difficoltà legate all’accesso delle persone trans ai servizi socio-sanitari, la comprensione dei bisogni di salute delle persone trans a partire dagli stereotipi degli operatori sociali e della salute relativamente alla popolazione trans, la sicurezza nei luoghi pubblici e nelle scuole: varie ricerche riportano l’altissimo rischio di vittimizzazione cui sono sottoposte le persone trans, dalle molestie da parte di estranei per strada ai traumi subiti da adolescenti e bambini, nei contesti scolastici.»

In riferimento alla vittoria in Cassazione, la persona trans assistita da Rete Lenford “ha raggiunto una condizione psico-fisica di equilibrio”, ma il fine ultimo della transizione non dovrebbe essere l’intervento di riassegnazione dei caratteri primari?

BESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswyBESbswy

«Molte persone trans desiderano fortemente essere sottoposte a un intervento di riattribuzione chirurgica del sesso, vivere in un corpo che si avvicini quanto più possibile all’immagine che hanno di se stesse, può però verificarsi il caso in cui i soggetti abbiano apportato modifiche ai propri caratteri sessuali secondari, assumendo il ruolo sociale corrispondente ed acquistando pertanto armonia psichica pur non volendo ricorrere in alcun modo all’intervento chirurgico.».

Camilla Esposito

Leave a comment