Napoli. Artigianato e rigenerazione culturale e urbana Made in Cloister

NAPOLI – Sono riprese in data 1 settembre 2016 le attività della Fondazione Made in Cloister, impegnata nel processo di valorizzazione delle risorse storiche, artistiche e culturali del quartiere di Porta Capuana, patrimonio UNESCO a partire dal 1995. I lavori di restauro del chiostro cinquecentesco della Chiesa di Santa Caterina a Formiello, iniziati nel 2012 dall’equipe della fondazione, hanno portato alla riqualificazione del sito, che prima dell’intervento versava in una condizione di totale abbandono, contraddistinto dall’assenza di servizi che ne rendeva la fruibilità molto difficile.

Il complesso, requisito da Ferdinando di Borbone e trasformato in un opificio addetto alla produzione di lana e di divise militari, vide l’inizio della sua decadenza con l’avvento dell’Unità di Italia, a seguito della sospesa richiesta del materiale da loro prodotto: testimonianza dell’abbandono del luogo sono i documenti depositati all’Archivio Storico del Banco di Napoli, inerenti alla causa iniziata dalla famiglia Sava, all’epoca gestore del sito, e l’appena formato Regno d’Italia.

Il progetto di rigenerazione culturale è inserito in un più ampio programma di riqualificazione urbana dei quartieri tutelati dal “Grande Progetto Unesco”, che prevede una serie di interventi sul centro antico quale il tracciato murario da Caponapoli a Porta Capuana, l’asse da Portosalvo a Caponali e l’area dei teatri dell’epoca romana. Ma sono interessati dal progetto anche le aree della fascia costiera: Piazza Mercato, Porta Orientale, Borgo Orefici, e un po’ più in centro i Quartieri Spagnoli.

L’obiettivo ultimo della Fondazione è perseguire una partnership tra il privato e l’Amministrazione comunale nell’ambito della programmazione di “Europa creativa 2014-2020”, che prevede lo stanziamento di fondi da investire in aree urbane. Il processo di rigenerazione infatti è stato sviluppato con una pluralità di interventi, quali il recupero di spazi e aree come il refettorio adibito a punto di ristoro, al fine di ricordarne l’originaria funzione; e il cortile e i portici diventati luogo di esposizione di opere e palcoscenico di performance teatrali.

A Made in Cloister si deve il coinvolgimento delle botteghe del centro storico nell’ambito della “Cloister education”, al fine di favorire la competitività sul mercato dei piccoli esercizi commerciali. Coinvolti nel progetto sono le officine di Umberto Cervo (intaglio e restuaro), Stella Cifonelli (pelletteria artigianale), Claudio Cuomo (laboratorio della carta crespa), Titina Ferrigno (fiori di carta), Carmine Cervone (tipografia), Pasquale Di Palma (ceramica di Capodimonte), Paola Gargiulo (officina della tammorra), Tiziana Grassi (ospedale delle bambole), Carmine D’Angelo (ferro battuto), Vittorio Avella (stamperia), Raffale Calace (liuteria), Annalisa Mignogna (legatoria artigiana), Eugenio Moreto (restauro a scagliola), Nicolò e Gennaro Russo (laboratorio del marmo).

La finalità del progetto Made in Cloister, improntato sul place branding, un processo di recupero del patrimonio culturale napoletano, è stata trasformare il sito in un crocevia di artisti e maestri artigiani. La contestuale presenza del “moderno” e “antico” è la base del progetto di riqualificazione culturale di Made in Cloister, al fine di rendere la memoria del passato un trampolino per l’innovazione futura. Ne è un esempio il progetto Bottega, dedicato a designers italiani under 35, che ha previsto in collaborazione con Jsingun un contest di progettazione di una sedia pieghevole per gli spazi reading del chiostro, vincitore del quale è stata /Con.cét.ta/, opera di “72h/Lab” (Alessandra Coppola-Loredana De Falco-Annamaria Messina-Orazio Nicodemo-Ciro Priore-Martina Russo-Davide Savoia), e realizzata dagli artigiani Andrea Amato, Patrzio l’impagliatore e Giovanni Capuano.

Harry Pearce si è occupato della visual identity della fondazione, con sopralluoghi delle strade più caratteristiche della città per una serie di street shoots. Il grafico è impegnato anche nel progetto “Poetry in the Streets of Naples”, basato su una selezione di dieci stampe realizzate con il tornio a stella dalla stamperia di Vittorio Avella.

Per l’occasione abbiamo intervistato l’architetto Antonio Giuseppe Martiniello, socio della fondazione.

Made in Cloister è pioniere in Italia dei progetti culturali crowdfunding su piattaforme internazionali, nel vostro caso l’americana Kickstarter. Cosa vi ha spinto verso questa iniziativa?

«Il fare artigiano è tra le attività più retribuite in America, dove sono riprese e riconsiderate. Il valore che il progetto Made in Cloister vuole aggiungere alle opere d’artigianato è quello di farne opera d’arte e oggetto di designer e svecchiarne l’immagine nel pensiero collettivo»

Nonostante i parternariati, avete deciso di puntare su progetti tesi al futuro. Siete riusciti a creare microcompetenze in grado di interagire in maniera sinergica?

«Sì, assolutamente. I prodotti di un artigianato che sia plurispecializzato hanno già di per sé un profilo medio-alto; ma nel caso del progetto Made in Cloister, a essere cambiato è il committente: l’artigiano plurispecializzato è affiancato da artisti e designers, che produrranno oggetti unici nel loro essere e delle linee a tiratura limitata.»

Che importanza ha nel vostro progetto la managerialità della cultura?

«L’obiettivo primario del progetto è creare lavoro attraverso risorse e saperi che stanno scomparendo e di cui però la città è ricchissima. Io sono uno dei soci dell’operazione e anche l’architetto che ha seguito il progetto. L’imprenditore che ha investito, ma anche il progettatore della rigenerazione urbana che Made in Cloister ha attuato»

In Italia ci si occupa abbastanza della produzione di cultura e capitale umano?

«Una delle cose che Made in Cloister si prefigge è formare nuovi artigiani che si specializzino in questi processi che stanno quasi scomparendo. La forza del progetto, a mio parere, è legata a recuperare le realtà esistenti, ma al fine di creare lavoro e strade diverse che nascano dall’innovazione. Il fulcro del processo è la rigenerazione, improntato su un format che si può ripetere in tutte le città mediterranee in cui non vi sia lavoro, ma sia presente una grande ricchezza di saperi, cultura e tradizione che al momento non vengono sfruttati e resi contemporanei»

Amplierete il progetto in altre direzioni?

«Continueremo sicuramente sulla strada del recupero del quartiere di Porta Capuana, in quanto unico modo per rigenerare. Nel quartiere è ancora forte la presenza di spacciatori o baby gangs e solo con la prospettiva di un lavoro si può creare un argine a questa situazione»

By Zaira Magro

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