Libri. Umiltà, conquista e consapevolezza nel testo di Valeria Patruno

BARI – Una vecchia macchina per cucire, appartenuta alla nonna sarta, e la sua abnegazione, la sua dedizione ad ago e filo, stoffe, gessetti e imbastitura come metafora concreta di valori quali lavoro, impegno, dignità, umiltà e dono di sé. Lunedì 24 luglio alle ore 19:00 a Turi, presso la Scala di Turi in via Maggiore Orlandi, si è svolta la presentazione del volume di Valeria Patruno “La macchina per cucire. Viaggio nelle periferie dei diritti”, Giazira edizioni. All’evento erano presenti Tina Ottavino; Raffaele Valentini; Nico Catalano, amico dell’autrice e moderatore; e Cristiano Marti, editore del volume.

L’autrice Valeria Patruno ha ripercorso il suo viaggio di vita, a partire dall’esempio della nonna sarta, per giungere a tutte le popolazioni da lei incontrate in quindici anni di attività svolta per le Nazioni Unite, dopo la laurea in Scienze Politiche: dal Mozambico al Bangladesh, dal Kosovo alla Birmania, Valeria Patruno ha condiviso con la platea la necessità della consapevolezza di sé e della preziosità delle conquiste ereditate in termini di diritti, per trasmetterne all’interlocutore, a qualsiasi latitudine, razza, religione, opinione e genere appartenga la loro inalienabilità. In questo mondo “che si fa sempre più piccolo, ma sempre meno conosciuto”, l’oltraggio ai diritti umani di un bambino birmano riguarda noi italiani, così come qualsiasi altro cittadino del mondo, perché le acquisizioni raggiunte in termini di diritti, vedi anche la Dichiarazione Universale Diritti Umani datata 1948, sono realtà insidiate senza posa anche nei paesi più industrializzati, e vanno difese e ristabilite continuamente, come testimoniano da noi la piaga del caporalato o le condizioni di lavoro che caratterizzano il settore tessile cinese.

La Patruno ha voluto anche ricordare la figura di Liu Xiaobo, attivista cinese morto di cancro il 13 luglio scorso, dopo essere stato imprigionato nel 2009 per la quarta volta dal regime di Pechino, per il quale la sua riflessione e il suo viaggio tra l’estetica e la libertà dell’uomo erano incitamento alla sovversione. Liu Xiaobo, insignito nel 2010 del premio Nobel per la Pace “per la sua lunga e non violenta battaglia per i diritti fondamentali in Cina”, non aveva avuto neanche modo di curarsi.

Sono questi per l’autrice esempi di uomini che sanno per cosa vivere, che partono dalla ricerca e dalla conoscenza di sé per diffondere consapevolezza e conoscenza nel mondo. In una società che ci vede sempre più “sedati” e meno protagonisti, sempre più indifferenti ed egoisti, sempre più scollati dalle gerarchie che decidono dei nostri destini, per la nostra colpevole “indolenza”. A tal proposito la Patruno ha richiamato l’attenzione dei presenti sul Trattato sul Divieto delle Armi Nucleari e sulla relativa Assemblea Generale delle Nazioni Unite svoltasi il 7 luglio 2017 a Palazzo di vetro dell‘ONU a New York: il trattato è stato approvato da 122 Paesi, esclusi quelli del cosiddetto “club dell’atomica” e i loro alleati NATO, tra cui l’Italia, che si sono astenuti dal voto.

Ecco la necessità di imbastire il mondo, di tracciare una linea che ci guidi a cambiare il piccolo mondo di ognuno di noi, attingendo a valori che si sostanziano di scelte concrete e quotidiane: dal posto sull’autobus, al parcheggio per diversamente abili, per poi migliorare anche le realtà più lontane dalle nostre. Ha sottolineato Valeria Patruno che “l’Imbastitura del mondo, una direzione di percorso, verso una dimensione che sia davvero più umana, più dignitosa, più rispettosa, quindi anche capace di generare uno sviluppo che sia più rispettoso, più dignitoso e per questo più sostenibile; questa imbastitura è un dovere per tutti, non solo per gli occidentali. E’ un impegno globale, della stessa Umanità. E’chiaro che questo impegno si manifesterà in tantissimi modi diversi, perché è giusto che sia così. Su questo abbiamo bisogno di una riflessione che sia il più universale possibile, calandosi ognuno nella sua realtà, perché altrimenti avremmo qualcosa di utopistico.”.

Partendo inoltre dal presupposto che progresso non significhi necessariamente civiltà, la Patruno ha ricordato infine che popolazioni ai margini e alle periferie del mondo possono avere molto da insegnarci, come le donne del Mozambico, che si sono emancipate senza sottrarsi al sudore e alla fatica, divenendo colonne portanti del Paese e della sua rinascita.

L’autrice al termine della presentazione ha risposto alle nostre domande.

Valeria Patruno, periferie del mondo ed economia occidentale. Quale possibilità di autodeterminazione per queste popolazioni?

«Sicuramente l’economia globale o la globalizzazione dell’economia, più correttamente, è una realtà. Questo non vuol dire che sia assoluta: la possibilità che le economie globali vivano e non solo sopravvivano, ma si rivitalizzino è una possibilità molto concreta. E’ chiaro che questo è prevalentemente nelle mani delle comunità locali e soprattutto anche delle amministrazioni locali di questi Paesi. Questo è un punto fondamentale su cui riflettere e far riflettere. Si tratta di una scelta, e posso fare un esempio: ho un caro amico senegalese che mi raccontava che in occasione dei mondiali di calcio, che si sono celebrati in Sudafrica, i cinesi sono arrivati a Dakar e hanno promesso al presidente senegalese di costruire lo stadio più grande di tutta l’Africa, e l’hanno costruito. In cambio hanno voluto solo una piccolissima cosa: la possibilità di pescare lungo tutte le cose senegalesi a loro piacimento. Risultato: il cugino del mio amico, che è un pescatore, non riesce più a pescare nulla. Nessuno ha imposto al presidente senegalese di accettare questa proposta. Il problema è che noi spesso ci troviamo di fronte a situazioni che non sempre sono dettate da una condizione di necessità, ma a volte sono dettate da interessi personali, di potere. In ogni caso, dietro il colonialismo dell’economia, c’è anche il colonialismo di qualche nuova potenza emergente: soprattutto nel continente africano c’è il colonialismo cinese che è evidentissimo.»

Cosa può insegnare l’umiltà dei popoli alle periferie del mondo?

«Penso che questa sia una scuola fondamentale sotto diversi punti di vista. Intanto l’umiltà predispone naturalmente all’ampliamento della conoscenza. Soltanto una persona umile è in grado di apprendere più facilmente, più velocemente, con una capacità di guardare a tutto ciò che viene appreso con l’idea che questo sia un elemento fondamentale per il proprio sviluppo, per la propria crescita, per la propria emancipazione. L’umiltà fa sì che si possa effettivamente vivere esponenzialmente l’esperienza dell’apprendimento. Noi, la cosiddetta civiltà occidentale, in realtà dell’umiltà ci siamo completamente dimenticati. Siamo diventati una società arrogante e arroccata su posizioni in parte anacronistiche e non più attuali, non più corrispondenti al mondo reale, perché il mondo ha fatto un percorso complessivo: ci sono Paesi che hanno fatto passi avanti non solo in termini economici, ma anche in termini culturali, esperienziali, conoscitivi. Questa è una dimensione che sarebbe bene noi recuperassimo, perché se crediamo nello sviluppo non c’è un termine fine. Non potrà esserci. Guai a quell’uomo e a quella donna che si credono arrivati. Si stanno perdendo qualcosa, e noi credo stiamo perdendo qualcosa di importante anche nella mancanza di confronto con queste culture, che invece si sono dimostrate più umili e più sapienti.»

By Daniela Buttiglione

Leave a comment