Libri. “Il caso Alfredino Rampi attraverso i media” di Romina Capone

NAPOLI – Sabato 10 giugno, alle ore 18:00, alla GalleRi@rt di Galleria Principe di Napoli, nei pressi del Museo Archeologico, a distanza di 36 anni dalla morte del piccolo Alfredino, è stato presentato il libro “Il caso Alfredino Rampi attraverso i media”, della giornalista Romina Capone, edito da Edizioni Il Papavero nel 2015.

Alla presentazione, oltre all’autrice, erano presenti il Sindaco di Napoli Luigi De Magistris, per un saluto istituzionale; lo psicologo Fabio Ianniello; e Aldo Miceli della protezione civile Falchi del Sud, che hanno contribuito alla discussione, approfondendo e arricchendo l’analisi dell’autrice del libro.

Il testo non è una semplice cronistoria dei fatti, che tra la sera del 10 e il 13 giugno 1981 saranno poi ricordati come “l’incidente del Vermicino”, durante i quali perse la vita il piccolo Alfredo Rampi, per tutti “Alfredino”, caduto in un pozzo artesiano per oltre 60 metri, ma raccoglie e analizza gli articoli e i documenti dell’epoca per offrire un quadro socio-politico e culturale della situazione italiana di fine anni ‘70 e inizi ‘80: gli “anni di piombo”, dello stragismo e dei grandi omicidi, da Aldo Moro a Pasolini.

Al riguardo abbiamo intervistato l’autrice Romina Capone.

Perché ha scelto di raccontare questa storia?

«Questo è un argomento di cui sono venuta a conoscenza tramite mio nonno. Mio nonno nel 1981, quando è avvenuto il fatto, ha tentato in tutti i modi di collaborare attivamente cercando di recuperare Alfredino, perché in quei giorni, siccome la problematica era seria, lo Stato e le televisioni decisero di coinvolgere anche i privati, cioè i singoli cittadini con idee reali e quindi mio nonno tentò di chiamare Roma per proporre delle soluzioni. Uno delle prime fu quella di tentare di fermare Alfredino all’altezza di 20 metri, calandogli un pallone sotto e poi gonfiarlo in modo tale da evitare che finisse ancora più giù. Questa storia mio nonno me la raccontava quasi come se fosse la storia della buonanotte e ricordo tutte le registrazioni delle telefonate fatte e delle dirette che mio nonno conservava. Quando ero all’università scelsi quindi questo argomento come materia della mia tesi di laurea in Linguaggio giornalistico, inserendo poi all’interno del libro gli articoli originali dell’epoca. La chiave di lettura è stata quella di analizzare come questo fatto sia stato sfruttato per far sì che l’Italia in quei giorni potesse distogliere lo sguardo da altro.»

Si concentra quindi più sulla storia di Alfredino o è un’analisi sui media?

«Entrambe, infatti il titolo è proprio “Il caso Alfredino Rampi attraverso i media”. Oltre a raccontare i grandi eventi di cronaca degli anni ’70 e ’80 e raccontare i giorni concisi del salvataggio del Vermicino, mi concentro anche sulla differenza tra stampa e televisione e in che modo la televisione sia cambiata, come sia nata la televisione ‘del dolore’ con i tre giorni di diretta ininterrotte a reti unificate. Ciò ha fatto sì che la cronaca entrasse nelle mura domestiche. È da quel caso in poi che tutta una serie di programmi proposero una ‘tv del dolore’, con i casi più importanti della cronaca: da Cogne al caso Yara. La televisione che noi seguiamo oggi ha quindi origine con la storia di Alfredino, ma non la storia in sé per sé, ma per il meccanismo di fare televisione. Per la prima volta un giornalista era spiazzato, perché alle prime armi con una diretta. Segno dell’inizio di un nuovo modo di fare televisione.»

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