Libri. Fabrizio Coscia e “La bellezza che resta”

NAPOLI – Sabato 18 marzo alle ore 11:00, la libreria “Io ci sto” del Vomero, in Via Cimarosa 20, ha ospitato lo scrittore Fabrizio Coscia per la presentazione del suo libro “La bellezza che resta”. All’incontro sono intervenuti il Prof. Stefano Manferlotti, docente ordinario di letteratura inglese presso l’Università “Federico II” di Napoli; Francesco de Core, giornalista de Il Mattino; e Linda Vanacore, che ha accompagnato con le sue toccanti musiche la lettura di alcuni passi del libro, recitati dall’autore.

Il romanzo, edito da Melville edizioni, è una riflessione sull’opera d’arte alla fine di una vita e su cosa rappresenti, per un artista, la sua ultima opera. Percorrendo le vite di scrittori e pittori importanti, da Tolstoj a Leopardi, da Renoir a Simone Weil, non trascurando Freud, Cechov, Glenn Gould, lo scrittore si addentra fra le esistenze di questi artisti e le vie misteriose della loro arte.

Cosa esattamente rappresenta per un autore la sua ultima opera? L’autore pone il lettore nella condizione di interrogarsi continuamente, non fornendo quasi mai risposte, perchè queste rientrano in una dimensione puramente soggettiva e personale.

“La bellezza che resta è un libro molto particolare, al quale ci si accosta con curiosità e voglia di sapere, ma anche per capire determinati meccanismi.”, questo in breve l’introduzione all’incontro di Francesco de Core, che continua: “E’ una riflessione sull’opera d’arte alla fine di una vita, così come sostiene Caterini (Scrittore e critico letterario, – ndr), ovvero che cosa muove Tolstoj, Glenn Gould, Leopardi sul finire della loro esistenza a scrivere, a comporre, a riflettere e interpretare determinate opere. Questo libro è mosso da questa grande curiosità intellettuale che ha come filo conduttore il rapporto di Fabrizio con l’opera d’arte.”.

Nel corso del suo intervento, del Core affronta anche un’analisi su ciò che si intende per letteratura e soprattutto in che modo essa condizioni la nostra vita: “Perché, alla fine, la letteratura che cos’è? Appare come delle finestre che si aprono sul mondo, ma sono finestre che si aprono contemporaneamente anche dentro noi, perchè l’opera d’arte riflette quello che noi siamo e condiziona quello che noi siamo”.

Anche il Professor Manferlotti ha analizzato l’opera di Coscia addentrandosi all’interno del romanzo con sensibilità e saggezza, affrontando il tema della morte e della vita secondo il linguaggio della letteratura: “Queste vite fatte proprie, meditate e metabolizzate, si intrecciano in un fluire che non presenta intoppi. Entriamo e usciamo da questo dialogo postumo che Fabrizio intreccia col padre. È un calmo fluire che accoglie, e gli assi tematici sono sostanzialmente due: uno è la figura del padre e l’altro quello della morte. L’essere umano è l’unico che sa di dover morire, ma è anche l’unico che sa che con un unico sforzo collettivo, la collettività può rimanere dopo di sè attraverso tracce degne di essere lasciate”.

In occasione della presentazione del libro, abbiamo intervistato l’autore Fabrizio Coscia.

Come è nata l’idea di questo libro?

«Il libro è partito come un saggio su Tolstoj, in particolare sull’ultimo romanzo breve, scritto durante gli ultimi anni di vita e pubblicato postumo: Chadzi-Murat. Però poi è diventato tutt’altro, ovvero una narrazione attraverso le opere ultime di scrittori o artisti. Ritratti dell’artista da vecchio e quindi di una creatività senile per indagare anche un po’ il rapporto tra l’arte, la morte e quindi di conseguenza il rapporto tra l’arte e la vita».

Cosa intende per “bellezza che resta”?

«Renoir dipinse la sua ultima opera, le bagnanti, con le mani rattrappite dall’artrite reumatoide e provando quindi atroci dolori. Quando il giovane Matisse lo vide dipingere in quelle condizioni e gli chiese il perchè di tanta ostinazione nel voler continuare l’opera, il pittore anziano gli rispose che il dolore passa, ma la bellezza resta. Per bellezza non si intende solo la bellezza in senso estetico, ma essa ha a che fare anche con la verità, con il disvelamento».

Nel suo libro la morte è in relazione con la vita, ma anche con l’arte. Quanto è importante il concetto della morte per l’arte?

«È la domanda che mi sono posto durante tutta l’elaborazione del libro. Io non do risposte. Ci sono diversi modi di elaborare la morte da parte di artisti. Ci sono opere di riconciliazione e no, e questo dipende dai singoli artisti. La morte è il grande interrogativo su cui si affacciano tutti coloro che cercano di indagare. Porsi domande sulla morte significa cercare una prospettiva diversa da cui guardare la vita».

È anche un libro autobiografico?

«Inframmezzata a questa narrazione c’è anche il racconto degli ultimi giorni di vita di mio padre e di conseguenza il mio rapporto con lui. Una dimensione autobiografica che ho voluto mettere in evidenza per dire quanto una scrittura che può sembrare saggistica in fondo è autobiografica e narrativa. Spero che il lettore si interroghi sulla vita anche rispetto a quello. ragionare su cosa noi lasciamo quando ce ne andiamo, cosa tralasciamo. Dal punto di vista di chi resta, cosa riceviamo».

Antonella Izzo

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