Attivismo. Report dal Leoncavallo di Milano sul tema del diritto agli spazi sociali autogestiti

NAPOLI – Nel pomeriggio di sabato 21 ottobre, allo spazio autogestito Leoncavallo di Milano, si è svolto un incontro pubblico per discutere sul tema del diritto agli spazi sociali autogestiti, e quindi del rapporto tra istituzioni amministrative comunali e spazi sociali autogestiti. Al dibattito erano presenti il Sindaco di Napoli De Magistris, l’assessore all’Urbanistica e Beni comuni di Napoli Carmine Piscopo, l’economista Andrea Fumagalli, e i portavoce de la Cavallerizza Reale di Torino, Macao di Milano e de L’Asilo di Napoli.

A mediare il dibattito il portavoce del luogo ospite, che ha messo in evidenza come nel capoluogo lombardo negli ultimi 20 anni poco sia cambiato riguardo gli spazi sociali autogestiti. A fine anni ’90 una serie di lotte portarono alla redazione della Carta di Milano, in cui si rilanciava il diritto all’autogestione per sottrarre le aree dismesse alla speculazione e al degrado, ma negli ultimi anni la questione si è ridotta a un mera discussione sull’attribuzione della proprietà dello spazio. “In realtà il problema” – secondo l’attivista – “dovrebbe essere affrontato in maniera diversa: proporre soluzioni creative per uscire dalla gabbia proprietà pubblica – proprietà privata.“.

L’esponente del Macao – Nuovo Centro per le Arti, la Cultura e la Ricerca – ha rivelato che dopo quasi tre anni di confronto con l’amministrazione comunale di Milano non si sia ancora riusciti a trovare un punto d’incontro, a suo avviso per un’incomprensione politica di ciò che sta succedendo. “Se la città è proprietà del popolo” – continua l’attivista – “l’amministrazione dovrebbe avere la responsabilità di gestire il patrimonio in modo tale che possa essere effettivamente fruito dal cittadino. Se in una città ci sono migliaia di metri cubi di spazi abbandonati, significa che c’è stato un venir meno da parte dell’amministrazione delle proprie responsabilità.”.

A Torino sembra esserci un’identica situazione, come espone una rappresentante dello spazio autogestito Cavallerizza Reale. Situazione di mancata volontà, da parte dell’amministrazione cittadina, di cercare un dialogo.

Tutt’altra direzione ha seguito invece una delle grandi metropoli del sud, Napoli, che si è trovata in una condizione di avanguardia rispetto a questa tematica. La giunta De Magistris ha aperto un dialogo vero di ascolto e cooperazione con le comunità multiformi, che gli spazi sociali autogestiti li vivono, riconoscendoli come un luoghi di cooperazione indipendente e democratica, con regole di inclusività in cui l’accessibilità è garantita.

Come spiega un esponente dell’ex asilo Filangieri: “storicamente le lotte sociali mettono in evidenza una situazione di conflittualità tra amministratori e attivisti. La democrazia ha senso se da’ la possibilità al dissenso di esprimersi, non relegandolo a una semplice situazione di resistenza, ma dandogli una forma definita e studiabile.”. Il loro motto è “resistenza creativa”, uno slogan che proviene dal Sud America, cioè una resistenza che produce effetti reali. Continua l’attivista: “nei centri sociali insistono dinamiche che creano un modo diverso di intendere la comunità e lo stare insieme, che ha bisogni di rapporti giuridici diversi dal solito schema che permette l’uso di uno spazio solo in una condizione di ritorno economico. Si metta in discussione la nozione classica di proprietà, rivendicano una modalità relazionale diversa, non basate su identità settarie e oppositive, ma che si costruiscono sul riconoscimento dell’altro, della cooperazione. Non si può resistere creativamente se le diverse lotte ed esperienze rimangono isolate.”. Ecco dove nasce l’accordo con l’amministrazione cittadina, che ha riconosciuto l’importanza sociale di questi spazi che offrono, per citare alcune attività, corsi d’italiano per migranti, luoghi di produzione d’arte per artisti emergenti a costi zero.

Il sindaco De Magistris ha sottolineato come “l’articolo 3, secondo comma, della Costituzione italiana dice che il compito della Repubblica è rimuovere gli ostacoli per lo sviluppo della personalità umana”. Partendo da queste considerazioni e valutando le attività sociali che questi spazi offrono, il passo successivo è sembrato spontaneo. In un dialogo diretto assieme ai rappresentati degli spazi autogestiti napoletani, l’amministrazione ha emesso tre Delibere con l’intento di dimostrare che una cosa è giuridicamente meritevole se crea una valorizzazione sociale, culturale ed economica. Si è trovata una sintesi senza che nessuno abbia rinunciato alla propria autonomia.

“Ma come possono queste realtà sostenersi economicamente? Come si può sviluppare autonomia non solo nel campo giuridico e relazionale con la forma di potere nel quale è inserito, ma anche economica e monetaria per evitare che si verifichi un processo di sussunzione?” Sono queste le domande a cui l’economista Fumagalli ha cercato di trovare una risposta.

Partendo dalla riflessione che queste sperimentazioni sociali nel campo del Welfare e dell’auto-produzione e organizzazione siano forieri di un modo alternativo di intendere la produzione, dove il valore non è più regolato da uno scambio finalizzato a un profitto, ma si genera un valore d’uso, Fumagalli ha proposto la sperimentazione di un circuito monetario alternativo utilizzando monete complementari o criptomonete per la creazione di portafogli finanziari, all’interno dei quali possono essere caricati dal nulla somme monetarie, sulla base delle finalità e delle esigenze di utilizzo delle realtà sociali che fanno parte di una rete di produzione alternativa. “Questo per abbattere quella condizione di lavoro non pagato con cui queste realtà si trovano a dover convivere, che rende la sopravvivenza molto precaria, ostacolandone il sedimentarsi e replicarsi. Il punto è creare un’istituzione monetaria finanziaria alternativa, finalizzata a rendere i nostri progetti non sussumibili, non ricattabili, replicabili, per dare modo alle persone che li rendono possibili la capacità di non farlo solo per passione.”

Scopo del dibattito è stato dimostrare come si possa uscire dall’ottica della proprietà, e come un diritto al riconoscimento dell’utilità sociale di questi spazi sembra essere dovuto.

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