Attivismo. Polizia di Berlino mette fine al “teatro transmediale” del Volksbühne occupato

BERLINO – Venerdì 22 settebre 2017 il teatro berlinese Volksbühne, una delle istituzioni teatrali più importanti della città, è stato occupato.

Volksbühne significa “Teatro del popolo”, fu costruito nel 1914 onorando la causa di un teatro accessibile a tutti, a prezzi appunto popolari, offrendo spettacoli d’intrattenimento d’impronta politico-culturale, e favorendo le forme rappresentative sperimentali.

Negli ultimi anni però la gestione del teatro ha subito un cambio di tendenza, probabilmente in linea con le decisioni dell’amministrazione politica della città. Per questo motivo il collettivo Staub zu Glitzer ha dato vita all’occupazione di protesta, evidenziando come le scelte amministrative abbiano seguito le tendenze delle altre capitali europee, portando Berlino a seguire “un percorso di dislocamento, di esclusione, attraverso la distruzione di qualsiasi senso di comunità”.

Il collettivo denuncia al riguardo “affitti dai prezzi esorbitanti e relazioni di lavoro incerte, che conducono a paura esistenziale, all’incapacità di agire, rassegnazione e isolamento.” e quindi lancia un appello: “Insieme dobbiamo riuscire a distruggere questo stato di shock”.

Con l’azione del collettivo, progetto teatrale transmediale e mimetico denominato B61-12, come la bomba nucleare all’idrogeno degli Stati Uniti d’America, è stato quindi occupato il Volksbühne, dichiarandolo proprietà del popolo: porte aperte e uso generalizzato. Ma il collettivo, nei 9 mesi precedenti l’azione, ha iniziato uno studio di ricerca per definire i lineamenti di ciò che loro pensavano potesse essere una buona gestione dello spazio. Così una squadra di circa 40 persone, supportate da 180 collettivi, gruppi di teatro, clubs, iniziative contro la gentrificazione, singoli provenienti dalla scena artistica, assieme a studiosi e professori per un totale di circa 3.000 individui partecipanti, hanno attivamente lavorato sul progetto, che non ha pretese di riservatezza, ma invita creativi e volenterosi a farne parte e portare nuove idee.

Nel manifesto di intenti si dichiara: “Almeno il 50% dei membri dei vari comitati saranno donne. Senza eccezioni. Le posizioni rimarranno vuote finché non si raggiunge la quota. Il collettivo del Volksbühne è femmistista, antirazzista, e queer, e predisporrà prontamente adeguate disposizioni per prevenire discriminazioni legate all’età e per garantire l’accessibilità. Il teatro darà spazio per negoziazioni e discussioni sullo sviluppo urbano, essendo interdipendente al sistema di sviluppo globale. Il teatro si batte per un possibile mondo libero dai nazionalismi, libero dalla minaccia militare, libero da sfruttamento e schiavitù, libero da razzismo e dalle ingiustizie legate al gender. Il Volksbühne Ost sulla Rosa-Luxemburg-Platz si batte per una ponteziale società senza classi, dove tutte le genti possano coesistere pacificamente in egualitarie condizioni di vita.”.

Ma l’occupazione, o come il collettivo preferisce definirla “allestimento del teatro transmediale”, è durata solo qualche giorno. Il 22 settembre infatti quattro rappresentanti del collettivo iniziarano un negoziato che si prolungò per 10 ore, col senato culturale, la polizia e Chris Dercon, il dirigente in carica del teatro, che era a conoscenza del progetto già dal 23 agosto scorso. E sei giorni dopo, giovedì 28 settembre alle ore 09:30 del mattino, Dercon assieme a 200 agenti di polizia hanno fatto irruzione al teatro, intimando gli artisti a lasciare il luogo entro 30 minuti, ricorrendo anche alla forza alla scadenza del breve termine.

Tuttavia l’azione del collettivo non si è fermata. Al riguardo l’attivista Sarah Waterfeld ha lanciato un appello: “We are not giving up. We are more than before. But we need help, as much as possible (Non stiamo rinunciando. Siamo ancora più decisi. Ma abbiamo bisogno di aiuto, per quanto possibile).”

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