Attivismo. Musica e militanza della Banda POPolare

MODENA – La Banda POPolare nasce nel 2011 a Modena, in Emilia-Romagna. E’ un gruppo musicale composto da operai metalmeccanici che lavorano nelle principali fabbriche site nel distretto industriale di Modena, come la Ferrari e la Maserati, e che in assenza di ideali rivoluzionari della cultura operaia, oggi relegati nell’oblio, si sono posti l’obiettivo di fare attivismo politico attraverso la musica.

La Band è in ascesa, assolutamente fuori dagli schemi con la loro arte ispirata a un principio di Karl Marx: ”Il denaro deve essere solo un mezzo per l’arte, che deve essere il fine e non viceversa”. Hanno all’attivo due dischi, pubblicati grazie al crowdfunding: il primo si intitola ”Rivoluzione permanente”, uscito nel 2013; il secondo è uscito invece nel 2016 ed è intitolato “Viva la lotta partigiana”.

Nel loro percorso artistico vantano collaborazioni con band famose come Banda Bassotti, 99Posse, Modena City Ramblers. Nella composizione dei loro brani, tutti diversi tra loro, trovano spazio ballate tradizionali, blues, funky, tutti generi alternati a canti di lotta partigiana e dei movimenti operai, rivisitati ovviamente in chiave pop, ma anche tanti brani inediti con chiari riferimenti alla vita degli operai e al lavoro in fabbrica, come per esempio il brano intitolato “Un pezzo un culo”: denuncia in chiave ironica dell’alienazione dell’operaio, costretto alla catena di montaggio per vivere; oppure la canzone di denuncia “Odessa”, dove si rievoca l’eccidio di 38 persone, avvenuto in Ucraina nel 2014 nella Casa dei Sindacati, da parte di estremisti di destra.

La Banda POPolare è composta da Paolo Brini, Comitato Centrale Fiom (voce); Francesca Parlati, studentessa (Tastiera e voce); Giuseppe Violante, RSU Fiom Crown(Percussioni); Valerio Chetta (piano e Hammond); Jean Pierre Cronod (Violino); Massimo Caruso, musicologo (Chitarre); Federico Ferrara (tastiera e piano), collaborazione in studio. Al riguardo, Paolo Brini, la voce del gruppo, ha risposto alle nostre domande.

Ci descrive la Banda POPolare?

«La Banda POPolare nasce il 25 Aprile del 2011 perché c’eravamo stufati delle feste istituzionali del 25 Aprile, che erano diventate un rito patriottico, e invece la Resistenza di patriottico non aveva nulla: la  Resistenza non fu ‘tricolore’, ma “rossa”. Così abbiamo detto basta: quando c’è il corteo tradizionale nelle vie del centro (Piazza Grande a Modena – ndr), noi ci mettiamo su un camion con la banda a suonare i canti della resistenza, i pezzi di lotte e li facciamo un po’ pop. All’epoca scoprimmo che tra metalmeccanici vari e altri amici e compagni c’erano dei musicisti e abbiamo cominciato così.».

Quindi come musicisti avete riscoperto la musica di militanza?

«In realtà abbiamo riscoperto le nostre passioni musicali con la voglia di mettere su un gruppo militante. Ormai di musica militante non ce n’è più, c’è solo grande immondizia come i Talent: musica già precostituita, oscena. A noi piaceva l’idea di recuperare un filone di musica militante.».

Qual è l’ultimo lavoro musicale della Banda POPolare?

«L’ultimo lavoro musicale è uscito nel 2006, si chiama “Viva la lotta partigiana”: una raccolta di alcuni pezzi tradizionali rivisitati e inediti scritti da noi. La nostra musica è autofinanziata e auto prodotta, abbiamo un seguito di ascoltatori molto rilevante. Vuol dire che c’è gente che ha voglia della nostra musica.».

Il vostro motto è: “Indipendenza dell’arte, per la rivoluzione. La rivoluzione, per la liberazione definitiva dell’arte”. Perché?

«E’ il motto artistico di Andrè Breton (Poeta e teorico del Surrealismo, movimento culturale del ‘900 – ndr), perché noi pensiamo che l’arte debba essere la massima libertà espressiva in campo artistico, ma anche l’arte si debba schierare per la rivoluzione proletaria e quindi sostanzialmente anche l’arte può e deve essere un’espressione del bello, del piacevole e del divertente, ma deve anche schierarsi. La nostra musica è stata influenzata da Pierangelo Bertoli e dagli AREA.».

Ci sarà più spazio per la musica di militanza, in questo periodo storico dove i lavoratori hanno perso tutti i diritti?

«Veniamo da un‘epoca nella quale, la borghesia, la lotta di classe la fa e la sa fare molto bene, ma dal suo punto di vista: ha portato avanti per 20, 30 anni una campagna ideologica pesantissima, sotto vari profili, di smantellamento di ideali culturali, oltre che politici, di quello che era identitario della classe lavoratrice: un’idea comunista, socialista, alternativa a questo mondo. Questo smantellamento c’è stato anche con la responsabilità di chi stava ai vertici sindacali, del movimento operaio, dei partiti politici che hanno permesso tutto questo, abbandonando certi ideali. Loro sono i principali responsabili.».

Ma il sistema funziona?

«Questo sistema, per quanto si possa raccontare che è bello e che funziona, non è così, e questo sta venendo fuori, e quindi l’attualità storica, sociale e politica di quegli ideali è tutta qui ancora oggi. Per la musica militante, per ritornare a essere musica di massa, è chiaro che è necessario creare un cambiamento di forza all’interno della società, come è stato dopo l’esplosione dell’Autunno caldo nel 1969, dove la musica di massa, con gli AREA, un gruppo storico che faceva musica difficile e che potrebbero ascoltare in pochi, riempiva le piazze con 20, 30mila persone: era un gruppo rivoluzionario anticapitalista, perché c’era un contesto di lotta di classe in ascesa».

Tornerà la lotta di classe?

«Un contesto di lotta di classe in ascesa è un momento decisivo per ritornare a essere di massa anche con questo tipo di musica, dopo di che, in attesa che questo avvenga, perché esploderà a prescindere da chi sta ai vertici politici e sindacali, perché le contraddizioni di questo sistema ci sono sempre, finché non se ne va questo tipo di sistema noi costruiamo una nostra battaglia musicale molto ambiziosa, con milioni di persone. Noi ci siamo, e in prospettiva che ciò avvenga possiamo diventare dei punti di riferimento in ambito artistico. Però un messaggio diretto e semplice, come quello di una canzone, devi farlo seguire da un discorso più articolato di militanza.»

In questo video il brano “Un pezzo un culo”.

 

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