Attivismo. “Farsi Fuoco”, dalla periferia nuovi percorsi di resistenza

NAPOLI – Nel pomeriggio di venerdì 23 febbrario, presso il ristorante italo-romanì Chikù di Scampia, l’organizzazione “Chi rom e chi no” ha dato vita a un incontro dal titolo “Farsi fuoco”, per discutere sul tema delle periferie e il diritto all’abitare e su come applicare nuove pratiche di resistenza per riscattare le periferie dall’isolamento e l’emarginazione.

All’evento hanno partecipato tra i tanti, contribuendo alla discussione, Franco Maranta del Forum Diritti e Salute; del cappellano del carcere di Poggioreale Don Franco Esposito; lo scrittore e sceneggiatore Maurizio Braucci; l’attore e produttore Gaetano Di Vaio de I Figli Del Bronx; la delegata ASIA Usb del Sociale Michela Antoniucci; e Armando Arianiello del Movimento Disoccupati di Scampia. Al riguardo abbiamo intervistato Emma Ferulano, attivista del ristorante Chickù e dell’associazione “Chi rom… e chi no”.

Perché “Farsi fuoco”?

«Il titolo “farsi fuoco” è in prestito da un racconto di Jack London, dal quale non prendiamo in prestito solo il titolo, ma anche parte del significato del racconto. Un’interpretazione che diamo a questo racconto e che sembrava pertinente con le condizioni dell’essere umano in questa società oggi: il protagonista, accecato dalle sue convinzioni, intorpidito nei sensi e nella mente, non si rende conto che da solo in condizioni climatiche estreme non può sopravvivere, e quindi ne facciamo una trasposizione, perché non viviamo a -65°come nel racconto, ma viviamo sì in una crisi complessiva, sociale ed economica, e di disgregazione in generale.
Nel racconto l’uomo capisce solo quando ormai è troppo tardi che da solo non può sopravvivere e che non riuscirà mai a raggiungere l’accampamento in cui gli altri, quindi la comunità, gli altri essere umani, sono radunati intorno al fuoco e aspettano che sia tempo di muoversi, insieme. Quindi questa grande metafora per dire che l’incontro è stato un tentativo di radunarsi intorno a un fuoco simbolico: ci siamo infatti seduti in cerchio, per non disperdere le energie e cercare e ritrovare connessioni e fili rossi tra differenti percorsi di resistenza, spesso lunghi e faticosi e non privi di fallimenti. Un filo rosso che unisce tutta l’area metropolitana di Napoli e in particolare le sue periferie.»

Quale modello abitativo auspicate per le periferie?

«Abbiamo affrontato la questione del diritto all’abitare per intere comunità e del diritto di cittadinanza per la popolazione carceraria, degli studenti, dello sfruttamento ambientale e dell’alta percentuale di persone in contatto con i centri di salute mentale, e quindi più che a un singolo modello abitativo inteso come singola categoria, noi da tempo parliamo di integrare tutti i vari ambiti del vivere umano. Per ‘abitare’ intendiamo una visione complessiva, a partire non solo dalla questione delle abitazione, dignitose per tutte, comprese le comunità Rom, con soluzioni differenziate e recupero degli spazi verdi e degli spazi pubblici. Qualcuno giustamente faceva notare che lo slogan era “togliamo i bambini dalle strade”, ma per metterli dove? Davanti una PlayStation?»

Quindi?

«La cosa più interessante da fare è riappropriarsi in maniera consapevole, anche in senso ludico, delle proprie strade, delle proprie piazze, del proprio spazio pubblico per non lasciarlo marcire o affidato alla cura di persone che non siano gli abitanti di quegli spazi. Importante pure è il tema dei trasporti contro l’isolamento delle periferie, da risolvere con richieste precise e basilari come il non terminare le corse della metropolitana di sera, spesso per colpa dei continui disservizi, che costituiscono un problema quotidiano vitale. Auspichiamo anche modelli economici alternativi, per ora solo in base di sperimentazione, cioè nel dare la possibilità alle persone di costruire i propri spazi e di intendere il lavoro come forma di contributo per l’intera comunità.»

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