Animali. A Roma, in piazza contro lo specismo

ROMA – La Giornata Mondiale per la Fine dello Specismo si è svolta sabato 29 settembre a Roma, in Piazza di San Silvestro, dove centinaia di attivisti hanno manifestato in nome dell’antispecismo e per la liberazione animale.

Dalla Grecia all’Argentina, dalla Francia all’India, a partire dal mese di agosto, in tutto il mondo sono state organizzate decine di manifestazioni contro lo specismo. In Italia, Roma ha fatto da sfondo all’evento e Piazza di San Silvestro ne è stato il palcoscenico. Lo spazio dedicato agli interventi degli attivisti era abbracciato da una coreografia di partecipanti che, sorreggendo cartelloni con immagini significative, denunciavano, silenziosi, i diversi modi di agire dell’uomo sugli animali: dominio, violenza, schiavitù. Un messaggio comune quello lanciato dagli antispecisti che si sono succeduti al microfono: bisogna agire, per porre fine al più grande sfruttamento mai avvenuto nel mondo, quello nei confronti degli animali. Suggestivi brani eseguiti da un complesso di archi intervallavano ciascun intervento e la manifestazione è terminata con il grido unanime degli attivisti “Giustizia per gli animali. Liberazione totale.”.
Massimo Viggiani, vegano da più di 7 anni e tra gli organizzatori dell’evento, ha risposto alle nostre domande.

Cos’è lo specismo?

«Lo specismo è un’ideologia basata su concetti che servono a tenere in piedi il dominio materiale esercitato dall’uomo sugli animali, sostenuto da una serie di credenze speciste. La più classica è quella che gli animali siano privi di percepire o sentire emozioni come l’uomo. In passato, persone di altre etnie sono state discriminate allo stesso modo, giudicate poco intelligenti sulla base di falsi miti che ne rendevano più comoda l’oppressione.»

Lei è vegano da più di 7 anni. Fino a oggi, ha notato dei cambiamenti nell’approccio delle persone con questi temi?

«Vedo miglioramenti per quanto riguarda l’accettazione e la crescita numerica di chi cambia alimentazione, ma al contempo noto un problema, perché tutti vedono il veganismo come uno stile di vita. Se pensiamo all’antirazzismo, non ci sogneremmo mai di definirlo uno stile di vita, bensì una presa di coscienza politica, una questione sociale; così deve essere l’antispecismo, non un cambio di abitudini, ma imparare a vedere gli animali per ciò che sono e non come oggetti da sfruttare per i nostri scopi.»

Perché parlare di “antispecismo” e non di “veganismo”?

«Il termine veganismo si riferisce alla dieta e diventa identitario. La contrapposizione vegani e non vegani non serve. È necessario prendere coscienza del problema, lo specismo, e agire contro di esso. Dopo secoli di ideologia specista, però, per molti è complesso andarvi oltre. A causa dello specismo gli animali non sono più visti come individui, ma come una massa indistinta. Il punto non è essere vegani o non esserlo, ma comprendere che stiamo attuando una grave forma di discriminazione verso gli animali non umani, poiché anche noi siamo animali. A prescindere dal livello culturale del nostro interlocutore, il termine antispecismo risulta più chiaro di veganismo: mette il problema al centro della questione. Questo perché, chi è già sensibile ad altre lotte, potrebbe più facilmente immedesimarsi nelle vittime in questione: gli animali.»

Rosina Musella

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