L’antropologa Caterina Miele: “I Rom? Perseguitati come gli Ebrei!” (Parte 1 di 2)

NAPOLI – L’8 aprile è stata la Giornata Internazionale di Rom, Sinti e Caminanti. L’associazione Il Razzismo è una brutta storia e Open Society Foundations hanno organizzato alla Feltrinelli di Piazza dei Martiri la proiezione dei documentari “Container 158” e “Fuori Campo” per diffondere una cultura di maggiore tolleranza verso i Rom.

In presenza di diverse scolaresche, la Dr.ssa Caterina Miele, antropologa presso la Federico II e l’Orientale di Napoli, ha introdotto i film e animato il dibattito. La studiosa ha subito chiarito: il popolo Rom è quello più discriminato d’Europa, come lo furono gli Ebrei. E dopo aver illustrato le origini dell’eterogenea popolazione dei Rom, ha sottolineato come essa non sia necessariamente nomade, contrariamente a quanto si crede, anche a livello istituzionale. Ha poi spiegato come quella dei campi rom ‘attrezzati’ sia una soluzione esclusivamente italiana, calata dall’alto, che deriva dal dare il nomadismo per scontato. Soluzione diventata un modo per ghettizzare queste popolazioni, vittime di pregiudizi secolari.

“Container 158” illustra la quotidianità del campo rom di Via Salone alla periferia di Roma, dove vivono mille persone appartenenti a varie etnie dell’ex-Jugoslavia. Le famiglie, i ragazzi, si dibattono tra sporcizia, spazio limitato e l’ostilità degli abitanti del quartiere che, come loro, hanno subito il diktat dell’amministrazione comunale che ha costruito il campo, abitanti che ignorano i mille problemi dei Rom e spesso ostentano un bieco razzismo. Per i Rom dunque ogni semplice gesto diventa un’impresa: andare a scuola o a fare la spesa, perché si è lontani chilometri dai centri abitati; trovare un lavoro, perché non si hanno documenti a causa della burocrazia italiana, e così l’integrazione resta un miraggio.

In “Fuori campo” invece le vicende sono concentrate su alcuni ex abitanti di campi rom che hanno ottenuto la cittadinanza italiana per sé o per i figli, e ora lavorano, trasferiti in altre città. Ma i pregiudizi restano: sul luogo di lavoro per esempio sono i più bersagliati, sebbene siano quelli che, rispetto ai loro colleghi italiani, riescono a lottare più energicamente per i loro diritti. Ma i ghetti non muoiono mai: le baracche dei campi vengono trasformate in edifici, poi in quartieri, nei quali vengono confinate le varie etnie.

Al riguardo abbiamo rivolto alcune domande alla Dr.ssa Caterina Miele, la sua intervista la proponiamo in due parti.

La realtà dei campi rom è un’anomalia solo italiana?

«Inizialmente i campi rom furono creati dalle amministrazioni locali per trovare una collocazione stabile per quelle poche famiglie che davvero erano nomadi, grazie anche all’interessamento di alcune associazioni, tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. Successivamente sono stati strumento delle amministrazioni stesse per costituire dei veri e propri ghetti, soprattutto per la massa dei rifugiati che provenivano dalla ex-Jugoslavia.»

A breve la pubblicazione della seconda parte dell’intervista.

By Riccardo Bruno

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