I Corti sul Lettino – Cinema e psicoanalisi. Intervista a Ignazio Senatore (Parte I)

NAPOLI – Sono aperte le iscrizioni alla VII edizione del Festival del Cortometraggio “I Corti sul Lettino – Cinema e psicoanalisi”, che si svolgerà dal 7 al 9 settembre 2015 presso l’Arena cinematografica “accordi @ DISACCORDI” del Parco del Poggio dei Colli Aminei a Napoli. Ne discutiamo con il suo ideatore, nonché direttore artistico, il Dott. Ignazio Senatore, psichiatra e critico cinematografico. Di seguito la sua intervista, che pubblichiamo in due parti.

Ignazio Senatore, psichiatra o critico cinematografico?

«Svolgo da tempo entrambe le attività con passione, non vedo in conflittualità le due cose, perché tutto sommato si tratta sempre di narrazioni: quello che mi affascina del cinema è proprio il modo di narrare le storie, ma le storie dei pazienti sono intriganti e affascinanti come un bel film.

Cosa l’ha spinta nel 2009 a portare i ‘corti sul lettino’?

«Devo un po’ quest’idea a Pietro Pizzimento, ideatore di accordi @ DISACCORDI, il Festival del cinema all’aperto, del quale “I Corti sul Lettino”. Non amavo molto i corti perché i cortometraggi stanno al racconto come il lungometraggio sta al romanzo e io amavo sempre più i romanzi che i racconti. Spesso, agli inizi di quando sono nati, i corti erano dozzinali, non vi apparivano grandi attori, erano per lo più opere amatoriali che, rispetto al cinema, sembravano un prodotto di serie B. Nel tempo assistiamo a dei corti, come quelli che mi arrivano e porto in selezione, di una natura eccezionale: sono veri e propri film. Nei cortometraggi che ho presentato c’erano attori come Neri Marcorè, Elena Sofia Ricci, Alessandro Haber, Sandra Ceccarelli, Maurizio Casagrande.»

Quale crede sia il motivo di questo importante sviluppo dei cortometraggi? 

«Fare un film, soprattutto per i registi emergenti, è diventato complicatissimo, perché ormai il cinema italiano vuole solo commedie. Le prime cose che chiedono a un regista è quanto ha guadagnato con l’ultimo film e se il film fa vendere. Invece i cortometraggi hanno una maggiore libertà espressiva, perché naturalmente per fare un cortometraggio possono bastare 20, 30 o 50mila euro, a seconda dei casi, che sono cifre che uno può anche riuscire a recuperare con l’appoggio di banche o di qualche sponsor. Poi, spesso molti attori di rilievo ora lo fanno anche per un vezzo, mentre prima per loro partecipare a un corto era quasi una cosa di serie B. Anche il cinema cerca nuove rappresentazioni. Fare un corto non è facile, perché bisogna imparare a fare una storia in pochi minuti: nel film o nel lungometraggio si riesce a trovare uno spazio per raccontare, sintetizzare la storia non è facile. Un po’ come la barzelletta: la barzelletta per far ridere deve essere breve, non può durare un quarto d’ora perché la gente non la seguirebbe. I primi cortometraggi poi dovevano essere sempre molto divertenti, ironici, invece adesso ci sono tanti cortometraggi che portano messaggi sociali e trattano temi molto difficili.»

Da tempo si parla di crisi del mondo cinematografico italiano. Cosa ne pensa?

«Si è sempre detto che dopo De Sica e Rossellini sembrava che non ci fosse più nessuno. Però poi sono venuti Fellini, Bertolucci, Bellocchi e gli altri della nuova generazione. Il vero problema è che non ci sono grandi sceneggiatori. Mentre prima esisteva una scuola di sceneggiatori, adesso il regista il film se lo scrive lui, non si affida a uno sceneggiatore. De Sica si affidava a Zavattini e Fellini si affidava a Flaiano, che erano grandi scrittori. Ora invece abbiamo Rulli, Petraglia e Contarello, ma sono pochi i grandi sceneggiatori. Credo ci sia più una difficoltà nella scrittura, infatti ci sono molti film che sono belli però poi alla fine non tengono. Dario Argento per esempio, che è un grandissimo regista, non si affida a sceneggiatori, li fa lui e alla fine sono dei film che hanno una storia molto esile. Invece Bertolucci, Scorsese e i grandi americani se li fanno scrivere o traducono i romanzi. Per esempio, Virzì, dopo aver sempre scritto le sue commedie, anche abbastanza divertenti, come Ovosodo e Caterina va in città, in realtà, per il film più riuscito che ha fatto, ha sfruttato un romanzo americano.» 

A breve la pubblicazione della seconda parte dell’intervista.

By Miriam Lanzetta

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