Neo Borbonici: “Indipendenza. Ci prendono in giro da 153 anni!”

NAPOLI – Il professore Vincenzo Gulì lo abbiamo incontrato a una manifestazione a favore dell’indipendenza del Sud, unito e identificato sotto la bandiera del Regno delle Due Sicilie. E’ giornalista, dottore commercialista, tra i fondatori dell’Associazione Culturale Neoborbonica e presidente dei Neo Borbonici Attivisti. Attualmente ricopre anche il ruolo di portavoce e coordinatore nazionale del Parlamento del Sud (L’organizzazione per l’Indipendenza delle Due Sicilie raccoglie molti gruppi e associazioni che, in completa autonomia di azione, aderiscono a una grande battaglia comune – ndr) progetto civico-culturale per l’aggregazione dei nuovi meridionalisti. Appassionato di storia del Meridione d’Italia, è autore di vari testi sull’argomento: “Il saccheggio del Sud”; “Luigi Alonzi detto Chiavone”; “Malaunità”, come co-autore; “Il ferro e fuoco del nemico esercito francese”. Partecipa a numerosi convegni in tutta Italia in materia di riscoperta delle radici storiche dei meridionali.

Professore Gulì, alla luce del risultato referendario in Scozia, delle manifestazioni a favore dell’autonomia in Catalogna e in altre regioni del mondo, dove si pone la richiesta di indipendenza del Regno delle Due Sicilie?

«Il Regno delle Due Sicilie è sostanzialmente e formalmente diverso da Scozia, Catalogna e altri territori, come l’inventata Padania, in cui si parla di indipendenza. Esso era una delle più importanti nazioni alla metà dell’Ottocento, ruolo mai assunto negli altri esempi, nemmeno dall’Italia che solo alla fine del Novecento è entrata tra i G7 (Il Gruppo dei Sette era il vertice dei ministri dell’economia delle 7 nazioni sviluppate con la ricchezza netta più grande al mondo – ndr). La sua annessione al Piemonte, diventato solo ufficialmente Italia, dipende da una sequela di irregolarità e violazioni di trattati internazionali e di diritto naturale.»

A quali irregolarità e violazioni si riferisce?

«Innanzitutto al falso plebiscito del 1861. Il 21 ottobre 1860 il filibustiere Giuseppe Garibaldi, criminale ricercato dalle polizie di mezzo mondo, in nome del mandante Vittorio Emanuele II di Savoia aveva indetto un referendum popolare per il riconoscimento di costui quale re d’Italia. Tutti gli osservatori imparziali testimoniarono che la votazione si svolse in maniera irregolare: a voto palese, con i seggi in mano a invasori e manutengoli, senza alcuna garanzia di serenità. A parte il fatto che moltissimi seggi andarono deserti o furono distrutti dalla rabbia popolare e che tutta la zona di Gaeta non poté partecipare con i resistenti ancora in armi, il risultato fu palesemente falso anche per altri motivi: quelli dichiarati dagli stessi organizzatori fissavano i votanti al 19% degli aventi diritto, con la vittoria di quasi il 99% dei “Sì”, ma stranamente furono ammessi alle urne anche gli invasori, senza alcun riscontro sulle volte in cui si votava. Nessuno ha mai potuto controllare lo spoglio, il cui esito fu divulgato con settimane di ritardo. Al riguardo, una recente pubblicazione (“La verità sugli uomini e sulle cose del Regno d’Italia”, edizione Solfanelli – ndr) ha svelato che un ex agente segreto di Cavour, tale Filippo Curletti, caduto in disgrazia e diventato pentito, rivelò le falsità dei plebisciti che portarono all’unità italiana, questi sono alcuni passi molto significativi: “Ci eravamo fatti rimettere i registri delle parrocchie per formare le liste degli elettori. Preparammo tutte le schede per le elezioni dei parlamenti locali, come più tardi pel voto dell’annessione. Un picciol numero di elettori si presentarono a prendervi parte: ma, al momento della chiusura delle urne, vi gittavamo le schede, naturalmente in senso piemontese, di quelli che si erano astenuti. Non è malagevole spiegare la facilità con cui tali manovre hanno potuto riuscire in paesi del tutto nuovi all’esercizio del suffragio universale, e dove l’indifferenza e l’astensione giovavano a maraviglia alla frode, facendone sparire ogni controllo (…) In alcuni collegi, questa introduzione in massa, nelle urne, degli assenti, – chiamavamo ciò completare la votazione, – si fece con sì poco riguardo che lo spoglio dello scrutinio dette un numero maggiore di votanti che di elettori inscritti”. Quindi quale plebiscito, cioè assenso della stragrande maggioranza della popolazione; o quale referendum, assolutamente mancante di un qualsiasi quorum significativo?»

Dunque ci prendono in giro da 153 anni? Nei vostri volantini si legge: “Sono 153 anni che siamo oppressi e maltrattati da tutti gli illegittimi governi italiani. (…) La pazienza e la fiducia sono finite.”

«Non c’è nulla di legittimo e di legale in quelle votazioni che furono la base per proclamare il 17 marzo 1861 il Regno d’Italia, che incorporava quelle delle Due Sicilie. Inoltre la più convincente prova della inattendibilità del “plebiscito” è stata la terribile guerra detta “brigantaggio”, che per oltre un decennio insanguinò quei territori invasi, coinvolgendo l’intera popolazione che evidentemente era contraria a quell’annessione per cui rischiava, e sovente perdeva, tutto in un mare di sangue e di miseria indotta.»

Cosa chiedete e perché?

«L’Indipendenza agognata non significa staccarsi da Roma, ma ripristinare quell’indipendenza, legittima e mai cancellata giuridicamente, dei Napolitani e Siciliani. Parliamo di storia contemporanea di poche generazioni perché i nostri bisnonni erano duosiciliani. Abbiamo un nome storico di grande livello, Due Sicilie; una bandiera nazionale che è il vessillo borbonico per cui morirono 1 milione di briganti; e una struttura, da completare, di veri patrioti aperta a tutti quelli dotati di buona volontà e smisurato amore per la propria Terra.»

Ritiene che il cambiamento possa avvenire attraverso un trasparente e democratico risultato elettorale o esiste altra metodologia per ottenere l’indipendenza?

«La consultazione popolare non è attualmente proponibile per il Sud Italia. Se in Scozia quasi la metà dei fautori indipendentistici è stata sconfitta, da noi non siamo obiettivamente nemmeno a 1/10 dei numeri degli Highlanders, ciò a causa della cancellazione della memoria storica operata in 153 anni di colonizzazione, soprattutto culturale, dell’Italia. D’altronde, non si può attendere che la maggioranza prenda consapevolezza del proprio passato. I problemi gravissimi, dalla Terra dei Fuochi all’emigrazione, non concedono il tempo bastante. La poca diffusa voglia di indipendenza esclude però automaticamente anche, a titolo puramente teorico, la lotta armata. Non rimane dunque che assistere, vigili e scaltri, alle vicende imperscrutabili della storia e alle connessioni internazionali, anche economiche, in atto che potrebbero creare sconvolgimenti tali da offrire ghiotte opportunità.».

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