183 Fratelli Musulmani condannati a morte per omicidio

IL CAIRO – La Corte Penale di Giza ha appena confermato la sentenza di condanna a morte per i 183 manifestanti della Fratellanza Musulmana accusati di aver ucciso undici poliziotti nell’agosto del 2013, durante il massacro di Kerdasa, cittadina a 14 km dal Cairo.

Secondo l’accusa, gli imputati, inizialmente 188, avevano fatto irruzione nella stazione di polizia della cittadina egiziana, colpendo a morte 11 poliziotti, mutilandone i corpi e ferendo altri 10 agenti. L’episodio sarebbe uno dei tanti casi di violenza attribuiti ai Fratelli Musulmani nell’Egitto post-Morsi, quando la forza islamista, non più al governo, è stata scalzata dal potere militare del Generale Abdel Fatah Al Sisi. Dopo la deposizione di Mohammed Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani,

Nel dicembre del 2014 il Gran Mufti egiziano aveva emanato la sentenza nei confronti dei 188 manifestanti, condannandoli a morte. Due degli imputati sono deceduti dopo di allora, un altro, che all’epoca dei fatti era minorenne, è stato condannato a 10 anni di detenzione, infine per altri due manifestanti le accuse sono cadute secondo il giudizio emanato oggi.  Molti degli imputati sono stati condannati in contumacia.

Il giudizio del Gran Mufti, più alto ufficiale della legge religiosa islamica, è un passo consuetudinario nella processo di condanna: la sua decisione non ha valore coercitivo legalmente, ma la corte deve tenere in considerazione le sue decisioni ed adottarle. Già lo scorso dicembre la condanna collettiva aveva fatto molto discutere la Human Rights Watch, i cui rappresentanti avevano dichiarato: “Sono stati commessi crimini gravi nell’attacco di Kerdasa, ma il giudizio deve essere condotto con criterio”. Secondo l’organizzazione internazionale che cura i diritti umani, infatti, non bisognava sottoporre gli imputati ad un processo di massa, ma andavano esaminati i singoli casi.

By Margherita Sarno

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